MASSIMO GRAMELLINI da L'ultima riga delle favole
V
Era stata la sua ossessione durante l’infanzia, quando si divertiva ad accoppiare le carte, i giocattoli e finanche i soldatini: in fila per due. Ascoltava a bocca aperta le favole che fluivano dalla voce calda di sua madre, ma l’ultima riga lo lasciava sempre insoddisfatto.
E vissero per sempre felici e contenti. Avrebbe voluto sapere che cosa succedeva davvero, dopo.
Nel frattempo era successo qualcosa a lui. La sofferenza gli aveva ustionato il cuore troppo presto e una crosta di cinismo si era formata sopra le cicatrici della sua sensibilità. Aveva poi imparato a rintracciarla negli incompresi, nei brutti, nei disillusi. Ogni essere umano custodiva una buona ragione per non credere più ai sogni e sentirsi tradito dalla vita.
Camminando fra le nuvole basse del suo pessimismo, aveva finito per attrarre ragazze che gli somigliavano, benché fossero molto diverse fra loro. Si specchiavano nell’identica malattia: una voglia d’affetto che non riusciva a sgorgare limpida dai cuori rattrappiti.
Aveva esplorato il corpo umano con una compagna di scuola che lo eccitava fisicamente, ma che non stimava. Anni dopo sarebbe andato al suo matrimonio e avrebbe riso delle coppie fasulle che sedevano ai tavoli con l’allegria obbligata delle circostanze ufficiali. Di molte conosceva l’infelicità e i tradimenti. A mantenerle unite era la paura della solitudine più che il desiderio di restare insieme.
[...]
(f.g)
«Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati» «Dove andiamo?» «Non lo so, ma dobbiamo andare» Jack Kerouac
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