sabato 13 ottobre 2018

ASPASIA DI MILETO di Carolina Montuori - POESIA ASPASIA di Giacomo Leopardi

PREMESSA

Ancora oggi, sebbene in teoria si riconoscano alla donna pari diritti e doveri,
il ruolo femminile è discriminato, non solo in molti paesi di cultura islamica
ma anche da noi, nella sfera allargata dell'evoluto occidente.
La donna, rispetto all'uomo, a parità di mansioni lavorative, è sottopagata.
Spesso è costretta ad accettare clausole contrattuali capestro che prevedono
il licenziamento in caso di maternità.
La chiesa cattolica non ammette il sacerdozio delle donne e, di tanto in
tanto, scaglia anatemi contro il diritto all'aborto anche se la legislazione di
molti paesi (con qualche distinguo) lo prevede.
Anche in seno alla famiglia non sempre viene riconosciuto il suo doppio
ruolo di lavoratrice fuori casa e (nel contempo) di casalinga a tempo pieno.
Senza contare i casi limiti nei quali diventa carne da macello (casi di femminicidio).
Nonostante questo, nel corso dei secoli, molte donne hanno dimostrato di
essere all'altezza di svolgere certi ruoli, appannaggio maschile, come e, a
volte, meglio degli uomini.
Un esempio per tutti è giunto a noi dall'antica Grecia, in un'epoca e in una
civiltà aristotelica che considerava la donna un essere inferiore. Mi riferisco
ad Aspasia di Mileto.

(f.g)

Aspasia conversa con Alcibiade e Socrate", dipinto di Nicolas André Monsiau

Aspasia di Mileto, comunemente nota come Aspasia (AFI: /aˈspazja/; in greco antico: Ἀσπασία, Aspasía; 470 a.C. circa – 400 a.C. circa), fu amante e compagna del politico ateniese Pericle, da cui ebbe un figlio, Pericle il Giovane, anche se non sono noti i dettagli completi del loro stato coniugale. Ionia originaria di Mileto, fu parte della vita pubblica di Atene nell'età classica. Secondo Plutarco la sua casa divenne un centro intellettuale al punto da attrarre i più noti scrittori e pensatori, tra i quali Socrate che, a sua volta, si ipotizza sarebbe stato influenzato dagli insegnamenti di Aspasia. Essa è menzionata negli scritti di Platone, Aristofane, Senofonte e altri. Sebbene abbia trascorso la maggior parte della sua vita da adulta in Grecia, si conoscono a pieno pochi dettagli della sua vita. Qualche studioso ipotizza che Aspasia fosse una custode di bordello e un'etera. Il ruolo storico di Aspasia fornisce intuizioni essenziali per la comprensione delle donne nell'antica Grecia. Si conosce davvero poco delle donne del suo tempo. La studiosa Madeleine Henry afferma che «fare domande sulla vita di Aspasia è come fare domande su mezza umanità». (Wikipedia)


Aspasia e Pericle” di Josè Garnelo y Alda






Aspasia e la libertà delle donne nell’Atene classica

Di Carolina Montuori - 3 aprile 2018 

 “Delle donne bisogna parlar poco o nulla” diceva Pericle, politico ateniese e sostenitore della democrazia (nell’accezione aristotelica). Eppure una delle donne che si è fatta più sentire fu proprio la sua concubina Aspasia di Mileto (470 a.C.– 400 a.C.). Quest’ultima non corrispondeva sicuramente al modello tradizionale di femminilità classica:passiva e devota al marito e alla famiglia. Sono state le sue lodevoli capacità di consigliera ed intellettuale a colpire il filosofo ateniese Socrate (470 a.C./469 a.C.–399 a.C.), padre dell’etica e della filosofia morale. Aspasia ha, infatti, contribuito alla nascita di una sua riflessione positiva sulla donna. Egli infatti ne riconosceva le capacità e ascoltava anche i loro consigli, ritenendo che alcune fra queste avessero una saggezza superiore alla sua. Il metodo “socratico”: frutto dell’incontro tra Socrate e Aspasia La visione comune della donna greca era quella sostenuta dal filosofo Aristotele, il quale conveniva nell’idea di una netta disuguaglianza fra uomo e donna e insisteva nella “credenza” di una superiorità maschile sulle donne, anche per quanto concerne la riproduzione. Lo Stagirita infatti riconosceva nel rapporto sessuale una “passività” della figura femminile in quanto “è quella che genera in se stessa e dalla quale si forma il generato che stava nel genitore”. In questo panorama poco incline a riconoscere una certa autonomia e dignità alla donna, s’innesta la figura eccezionale di Aspasia. Di lei si dice addirittura che Socrate avesse appreso il metodo “socratico”, la quale padroneggiava con “rara maestria la tecnica del discorso”. Si ipotizza inoltre che il filosofo sia stato influenzato dagli insegnamenti della donna – peraltro menzionata anche negli scritti di Aristofane, Platone e Senofonte – venendo a contatto con la sua dimora, che all’epoca (V sec. a.C.), era un centro intellettuale frequentato dai più noti pensatori. Quando nel “Simposio” Aristippo gli chiede come mai stia insieme a “la più bisbetica delle creature”. Socrate risponde scherzosamente affermando che per diventare buoni cavallerizzi bisognava esercitarsi con i cavalli più indomabili e non con i più docili, perché “se essi pervengono a domare tali cavalli, potranno governare facilmente gli altri”. L’“inferiorità” delle donne nell’antica Grecia: un “inganno” educativo Lontano però dall’affermare la totale parità tra i due sessi, Socrate rifiutava la visione misogina della donna, riconoscendole il giusto valore, soprattutto come pensatrice. Il filosofo era distante in parte dalla prospettiva dell’epoca, che vedeva la donna un essere inferiore. Socrate immaginò per lei una piena realizzazione intellettuale e personale al di là dei confini della maternità e della vita domestica, cui era solitamente relegata. Ancor più anacronistica è l’intuizione secondo cui il fattore scatenante dell’ “inferiorità” delle donne non era la natura ma, piuttosto, l’“educazione” impartita dalla propria famiglia di origine e dal marito; concezione probabilmente sostenuta con indiscussa abilità da Aspasia. Quest’ultima, secondo Plutarco, fu querelata dal poeta Ermippo di Smirne (III secolo a.C. – II secolo a.C.) e messa sotto processo per empietà e lenocinio. Aspasia Una figura scomoda e temuta, dunque, che il comico Cratino chiamerà “concubina occhio di cane”, poiché verosimilmente riusciva ad ottenere informazioni personali sugli amanti che frequentavano le sue cortigiane. Aspasia, oltre a essere donna (quindi non poteva presentarsi da sola in giudizio), era sia straniera sia un’etera. Per questi motivi e per le sue abitudini sessuali, Pericle si preoccupò di difendere in prima persona Aspasia e, con l’abilità oratoria appresa proprio da lei, riuscì ad assolverla. È evidente che la figura controversa ed anticonformista di Aspasia assieme a quella del filosofo Socrate siano state le rare espressioni nel mondo maschile e femminile della lotta alla misoginia nell’epoca classica. Aspasia e lo pseudonimo voluto da Leopardi La forza incantatrice della sapiente milesia non si arresta alla cultura greca classica, ma attraversa la storia e le letterature, in particolar modo quelle moderne. Famoso è il Ciclo di Aspasia: una serie di componimenti del poeta Giacomo Leopardi, che riguardano la sua passione non corrisposta per la nobildonna Fanny Targioni Tozzetti. Come Aspasia fece parte della vita pubblica di Atene nell’età classica, anche Fanny era ben nota nella società fiorentina, per la sua bellezza e per le sue frequentazioni letterarie. Il poeta fa riferimento alla donna usando lo pseudonimo di Aspasia e la descrive così:



«ANGELICA BELTADE! PARMI OGNI PIÙ BEL VOLTO, OVUNQUE IO MIRO, QUASI UNA FINTA IMAGO IL TUO VOLTO IMITAR. TU SOLA FONTE D’OGNI ALTRA LEGGIADRIA, SOLA VERA BELTÀ PARMI CHE SIA» (Giacomo Leopardi, Il pensiero dominante, vv. 130-135, dal Ciclo di Aspasia)






CAROLINA MONTUORI

“Aspasia” è l’ultima grande lirica che il Leopardi scrisse in riferimento alla

sua passione per la bella signora Fanny Targioni Tozzetti. Leopardi si trovava a

Napoli quando scrisse la poesia ed era già passato più di un anno da quando

aveva lasciato Firenze e non aveva più rivisto la sua giovane amata.





XXIX


ASPASIA di Giacomo Leopardi


     Torna dinanzi al mio pensier talora
il tuo sembiante, Aspasia. O fuggitivo
per abitati lochi a me lampeggia
in altri volti; o per deserti campi,
al dí sereno, alle tacenti stelle,
da soave armonia quasi ridesta,
nell’alma a sgomentarsi ancor vicina,
quella superba vision risorge.
Quanto adorata, o numi, e quale un giorno
mia delizia ed erinni! E mai non sento
mover profumo di fiorita piaggia,
né di fiori olezzar vie cittadine,
ch’io non ti vegga ancor qual eri il giorno
che ne’ vezzosi appartamenti accolta,
tutti odorati de’ novelli fiori
di primavera, del color vestita
della bruna viola, a me si offerse
l’angelica tua forma, inchino il fianco
sovra nitide pelli, e circonfusa
d’arcana voluttá; quando tu, dotta
allettatrice, fervidi sonanti
baci scoccavi nelle curve labbra
de’ tuoi bambini, il niveo collo intanto
porgendo, e lor di tue cagioni ignari
con la man leggiadrissima stringevi
al seno ascoso e desiato. Apparve
novo ciel, nova terra, e quasi un raggio
divino al pensier mio. Cosí nel fianco
non punto inerme a viva forza impresse
il tuo braccio lo stral, che poscia fitto
ululando portai finch’a quel giorno
si fu due volte ricondotto il sole.

     Raggio divino al mio pensiero apparve,
donna, la tua beltá. Simile effetto
fan la bellezza e i musicali accordi,
ch’alto mistero d’ignorati Elisi
paion sovente rivelar. Vagheggia
il piagato mortal quindi la figlia
della sua mente, l’amorosa idea,
che gran parte d’Olimpo in sé racchiude,
tutta al volto, ai costumi, alla favella
pari alla donna che il rapito amante
vagheggiare ed amar confuso estima.
Or questa egli non giá, ma quella, ancora
nei corporali amplessi, inchina ed ama.
Alfin l’errore e gli scambiati oggetti
conoscendo, s’adira; e spesso incolpa
la donna a torto. A quella eccelsa imago
sorge di rado il femminile ingegno;
e ciò che inspira ai generosi amanti
la sua stessa beltá, donna non pensa,
né comprender potria. Non cape in quelle
anguste fronti ugual concetto. E male
al vivo sfolgorar di quegli sguardi
spera l’uomo ingannato, e mal richiede
sensi profondi, sconosciuti, e molto
piú che virili, in chi dell’uomo al tutto
da natura è minor. Che se piú molli
e piú tenui le membra, essa la mente
men capace e men forte anco riceve.

     Né tu finor giammai quel che tu stessa
inspirasti alcun tempo al mio pensiero,
potesti, Aspasia, immaginar. Non sai
che smisurato amor, che affanni intensi,
che indicibili moti e che deliri
movesti in me; né verrá tempo alcuno
che tu l’intenda. In simil guisa ignora
esecutor di musici concenti
quel ch’ei con mano o con la voce adopra
in chi l’ascolta. Or quell’Aspasia è morta
che tanto amai. Giace per sempre, oggetto
della mia vita un dí: se non se quanto,
pur come cara larva, ad ora ad ora
tornar costuma e disparir. Tu vivi,
bella non solo ancor, ma bella tanto,
al parer mio, che tutte l’altre avanzi.
Pur quell’ardor che da te nacque è spento:
perch’io te non amai, ma quella diva
che giá vita, or sepolcro, ha nel mio core.
Quella adorai gran tempo; e sí mi piacque
sua celeste beltá, ch’io, per insino
giá dal principio conoscente e chiaro
dell’esser tuo, dell’arti e delle frodi,
pur ne’ tuoi contemplando i suoi begli occhi,
cupido ti seguii finch’ella visse,
ingannato non giá, ma dal piacere
di quella dolce somiglianza un lungo
servaggio ed aspro a tollerar condotto.

     Or ti vanta, che il puoi. Narra che sola
sei del tuo sesso a cui piegar sostenni
l’altèro capo, a cui spontaneo porsi
l’indomito mio cor. Narra che prima,
e spero ultima certo, il ciglio mio
supplichevol vedesti, a te dinanzi
me timido, tremante (ardo in ridirlo
di sdegno e di rossor), me di me privo,
ogni tua voglia, ogni parola, ogni atto
spiar sommessamente, a’ tuoi superbi
fastidi impallidir, brillare in volto
ad un segno cortese, ad ogni sguardo
mutar forma e color. Cadde l’incanto,
e spezzato con esso, a terra sparso
il giogo: onde m’allegro. E sebben pieni
di tedio, alfin dopo il servire e dopo
un lungo vaneggiar, contento abbraccio
senno con libertá. Che se d’affetti
orba la vita, e di gentili errori,
è notte senza stelle a mezzo il verno,
giá del fato mortale a me bastante
e conforto e vendetta è che su l’erba
qui neghittoso immobile giacendo,
il mar, la terra e il ciel miro e sorrido.

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