Da IL MERCANTE DI LUCE di Roberto Vecchioni
Piú lo guardava e piú non riusciva a immaginarselo diverso, lui con quel capo ciondolante, con quegli occhi fanatici, solitari fanali in un viso scolpito da un ceramista ubriaco e incompreso, lui con quelle braccia, lente ali, lui che non era gli altri e sorrideva con una forza dieci volte piú sorprendente, si commuoveva di lacrime faticose, pronto a nascondersi dietro un pensiero e a saltarne fuori come se niente fosse gridando: «Eccomi, sono qui».
C’era poco tempo. Tutti e due lo sapevano.
Doveva lasciargli un dono, il piú grande possibile, oltre la felicità o l’infelicità, l’amore e il disamore, il destino o Dio, la casualità inspiegabile di nascere e morire, oltre, oltre tutto questo che è un frullar d’ali in una melodia alta, piú alta, immensa, che ci portiamo dentro al di là dei margini del tempo dato. E il dono è l’orgoglio di essere uomini e di vivere in questa rivelazione; perché non importa quanto si vive, ma con quanta luce dentro, senza rimpiangere e senza piangere.
«Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati» «Dove andiamo?» «Non lo so, ma dobbiamo andare» Jack Kerouac
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