Dopo l'Angelus in Piazza San Pietro del 27 agosto 2017, il Papa ha espresso la sua vicinanza ai “nostri fratelli Rohingya”, il gruppo etnico del Myanmar discriminato e spogliato dei propri diritti. “Tutti noi chiediamo al Signore di salvarli e spingere uomini e donne di buona volontà in loro aiuto”, così ha dichiarato il pontefice.
Ragazze rohingya nel ‘ghetto’ musulmano di Sittwe, Stato Rakhine, Myanmar.
Foto di Andrew Stanbridge
Ma chi sono i Rohingya? E come si sta agendo nei loro confronti?
I Rohingya sono una delle minoranze più perseguitate al mondo. Di etnia musulmana, la loro lingua è il rohingya, una lingua indoeuropea del ramo delle indoariane. Hanno un’origine molto discussa: alcuni li ritengono indigeni dello Stato di Rakhine (noto anche come Arakan o Rohang in lingua Rohingya) in Birmania, mentre altri sostengono che siano immigrati musulmani originari del Bangladesh che si sarebbero spostati in Birmania durante il periodo del dominio britannico. Questo popolo è a tutti gli effetti definibile "senza Stato", poichè non solo non è incluso tra i gruppi etnici ufficialmente riconosciuti in Myanmar, dove sono considerati immigrati illegali, ma anche il Bangladesh non riconosce la loro cittadinanza e non è più in grado di accoglierli. Appartenere all’etnia Rohingya comprende una serie di fortissime discriminazioni e violazioni della libertà individuale: bisogna avere un permesso speciale per sposarsi, viaggiare, cercare lavoro, recarsi dal medico, partecipare ad un funerale; non è garantito il diritto all’istruzione, si è sottoposti alla confisca di beni, a tassazioni discriminanti, al lavoro forzato, a violenze fisiche e psicologiche di ogni tipo. Persino i monaci buddisti hanno un ruolo in questa segregazione: alcuni considerano i Rohingya come una minaccia inquinante per la purezza religiosa buddista, non permettono i matrimoni misti e boicottano i loro negozi, raggiungendo un preoccupante livello d'incitamento all’odio.
Foto di | Chien-Chi Chang - MYANMAR Maggio 2016. |
Nel 2012 la questione Rohingya ha catturato l’attenzione internazionale per lo scatenarsi di pesanti scontri e l’inizio di una vera e propria ondata di violenze verso questa minoranza musulmana a seguito dello stupro e uccisione di una giovane donna buddista; sono stati più di 600 i morti e migliaia i dispersi, oltre alla distruzione di moltissimi villaggi. Dopo questi avvenimenti la fuga dei Rohingya si è intensificata, raggiungendo l’apice nel 2015, quando circa 25mila profughi hanno lasciato il Golfo del Bengala, dando il via a una vera e propria emergenza migranti aggravata dall’atteggiamento di chiusura dei Paesi limitrofi.
Foto di Chien-Chi Chang Giugno 2016. Si stima che circa 140.000 Rohingya sono collocati nei campi per sfollati sorvegliati dalla polizia armati e militari |
Attualmente sono circa un milione i Rohingya che vivono in Myanmar, molti sono stati relegati in ghetti o sono fuggiti in campi profughi in Bangladesh e nell’area di confine con la Thailandia. Oltre 150 000 sono quelli bloccati in campi per sfollati, anche perché le autorità hanno proibito loro di lasciarli.
Foto di Chien-Chi Chang - MYANMAR Maggio 2016. Bambini e adulti vivono in promiscuità nelle stesse tende. |
Foto di Chien-Chi Chang - MYANMAR Maggio 2016. Bambini e adulti vivono in promiscuità nelle stesse tende. |
Foto di Chien-Chi Chang - MYANMAR Maggio 2016. E se qualche bambino muore gli spetta un servizio funebre di questo tipo. Il corpo di una bamina avvolto in un telo bianco. |
Foto di Chien-Chi Chang
“The Lady”, così come la consigliera è famosa, sta mostrando un rapporto contraddittorio con i media e non accorda interviste. Quando alla BBC è stato concesso di recarsi sui luoghi del conflitto, San Suu kyi ha subito revocato il permesso. L’atteggiamento di molti birmani è quello di definire le denunce degli accadimenti (stupri, corpi di bambini morti per le strade, pile di teschi bruciati) come “just rumors”; ma la tesi non regge l'apparizione di numerosi video e foto pubblicati dai Rohingya stessi, che sono costretti a costruirsi da sé la loro testimonianza a causa dell’assenza di giornalisti e aiuti umanitari. La non condanna da parte di una delle rappresentanti della difesa dei diritti umani - che definisce le polemiche sulla questione un enorme iceberg di disinformazione - e la bizzarra propaganda in atto si trascinano una serie di perplessità. L’affermazione che la stessa San Suu kyi fece in uno dei suoi famosi testi - “Il timore di perdere il potere corrompe chi lo detiene” - sembra ritornare profeticamente oggi, come una prova da superare.
Foto di Chien-Chi Chang - MYANMAR Maggio 2016. Clinica medica all'interno dei campi sfollati di Rohingya. |
Sotto pressioni internazionali la San Suu kyi ha negli ultimi giorni dato il via a una commissione di indagine sugli abusi in corso (presieduta dal vice-presidente ed ex generale Mynt Swe). L’Indonesia si è posta a capo di un movimento di protesta contro le violenze che si stanno verificando e il presidente turco Erdogan – che nei giorni scorsi ha parlato di “genocidio” – ha chiesto in una telefonata alla consigliera di fermare questa carneficina e ha offerto aiuto al Bangladesh, dove sono diretti la maggior parte dei profughi. Contemporaneamente, il Pakistan ha sollecitato l’intervento dell’Organizzazione della Conferenza islamica e la Malayisia - prima nazione ad avere usato per i Rohingya il termine "genocidio" - ospiterà a metà settembre una sessione del Tribunale Permanente dei Popoli, che si occuperà delle violenze contro le minoranze compiute dal Myanmar.
In questo gravissimo quadro l'arrivo di soccorsi internazionali è senz’altro fondamentale, come risulta particolarmente evidente per l'esodo mortale che si sta verificando alla frontiera fra Bangladesh e Myanmar. Come annunciato in un comunicato stampa del 4 Settembre, anche la nave del MOAS, Phoenix, si è spostata dal Mediterraneo - dove continuerà a tenere sotto osservazione le rotte migratorie - al Golfo del Bengala per distribuire aiuti e assistere le persone che sono state colpite dalle violenze.
La mobilitazione a livello internazionale avrà un ruolo chiave nella gestione di questo "rischio genocidio", anche a fronte del fatto che difficilmente ci sarà trasparenza riguardo a quello che sta succedendo nel northern Rakhine.
Documento del web - Sito Gariwo
7 settembre 2017
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