Angelo Musco, comico senza frontiere
Caustica e attualissima la battuta che il "principe della risata"catanese inventò in palcoscenico un secolo fa e (cosi' disse) fu poi costretto a ripetere più volte anche nella vita: "Ciascuno, caro signore, ha il diritto ad essere un po' cretino; ma lei, di questo diritto, sta abusando". Pirandello diceva di lui: "E' il più bravo di tutti: con Musco non si può neppure litigare, perché riesce a farti ridere anche se hai ricevuto da lui una legnata in testa". Ed il suo strettissimo dialetto siciliano lo capivano anche all'estero. Una vita da nababbo, in una città che lo adorava.
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L’umile figlio di un bottegaio di via Vecchio Fortino era ormai un uomo famoso e pieno di quattrini, insignito delle più alte onorificenze, e sognava per i figli una vita da “aristocratici”. Per il battesimo di Francuzza, chiamò come padrino lo statista siciliano Vittorio Emanuele Orlando. E per la sua educazione, per i suoi studi, quando Francuzza era già una signorinella, scelse il collegio più esclusivo di Catania, il Sacro Cuore.
“La figlia del commendatore Angelo Musco”, diceva orgoglioso, “deve crescere con la educazione di una gran signora, con le belle maniere che si imparano soltanto in un collegio ad altissimo livello. Deve sapere, la mia figliola, che il tè si prende con il limone o con il latte, non con ‘tutti e due’, come rispondeva la mia carissima compagna di palcoscenico Rosina Anselmi quando ci invitavano nei migliori salotti di Roma e Milano. Lei era un a donna semplice, umile, era nata più povera di me. La mia Francuzza no, lei è nata e vive in una casa che sembra una reggia, suo padre è un uomo ricco e ossequiato da tutti. Il re e la regina lo invitano a recitare a corte, lo invitano anche ai matrimoni delle loro figlie principesse. Perché la figliola di un artista non dovrebbe frequentare i migliori collegi, come le figlie della nobiltà di Catania?”.
Andò personalmente a parlare con la madre superiora del collegio Sacro Cuore, l’artista Musco. Ed il suo orgoglio di ricco e illustre “parvenu”, per dirla alla francese, uscì mortificatissimo da quell’incontro. Prima delusione: la superiora, per una vecchia regola dell’istituto, gli rispondeva in francese e lui, che conosceva benissimo solo il dialetto siciliano, riusciva a capire poco o nulla. Seconda delusione: quando la direttrice si decise finalmente a violare la regola e rispondere in un italiano comprensibile dall'ospite, seppe che la figlia dell’attore Musco, pur ricco e famoso, non disponendo di un albero genealogico illustre, non poteva assolutamente essere ammessa a frequentare il collegio. Sarà la stessa signora Franca, quando la intervista per il settimanale Gente nel grande attico che occupava in un palazzone al centro di Messina, sull’area del vecchio Gran Hotel che Musco aveva acquistato con i suoi primi guadagni di attore (aveva 54 anni, la signora, ed era vedova di un medico, con due figli), a raccontarmi cosa avvenne in casa Musco dopo quel sorprendente e incredibile diniego.
“Non ero stata presente al colloquio di papà con la superiora del collegio”, volle precisare subito la signora Franca, “ma ricordo perfettamente l’umore di mio padre quando tornò a casa. Ingoiò amaro, strepitò, imprecò, sospese persino le recite della compagnia per la rabbia. Tornò il giorno dopo al Sacro Cuore, insistette nella sua richiesta, ne ebbe un nuovo diniego, ancora più duro e umiliante del precedente. Ed a quel punto perse le staffe. Io non ero presente, neppure al secondo incontro con la superiora: mi racconterà poi tutto lui. a casa. C’era un grande crocifisso, attaccato alla parete del parlatorio: lo aveva adocchiato a lungo, papà, mentre la arcigna suora elencava gli articoli del regolamento in base al quale la figlia di un attore non poteva frequentare l’istituto. Al momento di congedarsi, poi, con un balzo felino, lui che non era più un giovanotto e non era stato mai un fuscello, montò su una sedia, strappò il crocifisso dalla parete e fece per portarselo via. ‘Vieni con me, questo non è posto per te, che sei figlio di un falegname’, disse al Cristo in croce”.
“Poco mancò”, sono ancora le parole della signora Franca Musco, “che la madre superiora crollasse per lo shock. Intervennero le suore del collegio, le inservienti: il commendator Musco fu messo gentilmente alla porta, senza il crocifisso. Ma le cose andranno poi nel migliore dei modi, come papà chiedeva. Il portone del Sacro Cuore si riaprì, per lui e per me, pochi giorni dopo: la figlia dell’attore Musco era stata eccezionalmente ammessa a frequentare l’istituto, accanto alle ragazze della Catania-bene. Brindammo con lo champagne, a casa. Avevo così la possibilità di apprendere, frequentando quel collegio d'élite, che il tè si può prendere con il limine o il latte, e non con “tutti e due”. Ho appreso quelle e tante altre cose, certamente utili alla mia formazione, ai miei studi. E papà, per non sentirsi imbarazzato al confronto con gli aristocratici genitori che parlavano il francese quando andavano a trovare le figlie in collegio, andò anche a lezioni di francese, oltre che di italiano, riuscendo così a spiccicare nella vecchiaia anche qualche parola nella lingua d’oltralpe”.
Gaetano Saglimbeni
(dal settimanale “Gente”, n. 27 e 28 del 1977)




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