Varsavia, 1960 di Nazim Hikmet
La mia donna è venuta con me fino a Brest
è scesa dal treno è rimasta sul marciapiede
si è fatta più piccola più piccola più piccola
un seme di grano nell’azzurro infinito
poi, eccetto i binari, non ho visto più niente.
E poi mi ha chiamato, dalla terra polacca non potevo rispondere
non potevo chiederle dove sei, mia rosa, dove sei
mi ha detto vieni ma non potevo andare da lei
il treno correva come se non dovesse fermarsi mai più
soffocavo dalla tristezza.
E poi sulla terra i pezzi di neve si scioglievano
e a un tratto ho capito che la mia donna mi vedeva
mi chiedeva mi pensi ancora mi pensi ancora
mentre la primavera camminava coi nudi piedi fangosi sul cielo
e le stelle scendevano a posarsi sui fili del telegrafo
e l’oscurità batteva come pioggia sul treno
la mia donna restava in piedi sui pali del telegrafo
il suo cuore batteva – tac tac – come se stesse fra le mie braccia
i pali si muovevano e passavano ma lei non si muoveva da lì
il treno correva come se non dovesse fermarsi mai più
soffocavo dalla tristezza.
E poi ho capito che da anni da lunghi anni stavo in quel treno
ma come l’ho capito e perché mi stupisce ancora
come cantando la grande canzone della speranza
m’allontano dalle città dalle donne amate
porto la nostalgia di loro come ferita che non rimargina nella mia carne
ma cammino sempre per avvicinarmi in qualche luogo a qualcosa.
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