lunedì 5 agosto 2013

IL RITORNO DI LILITH di Joumana Haddad

 

  IL RITORNO DI LILITH di Joumana Haddad



  Alle sette donne che vivono in me

       
       Gatti selvatici s’incontreranno con iene,


  i satiri si chiameranno l’un l’altro


  lì sosterà anche Lilith


  lì troverà tranquilla dimora


  Isaia 34:14




 

Lilith: Evocata nella mitologia sumera, assiro-babilonese, cananea così come nell’Antico Testamento e nel Talmud. Nel mito è la prima donna che Dio creò dalla terra, come Adamo. Ma Lilith rifiutò di obbedire ciecamente all’uomo, si stancò del paradiso, si ribellò, fuggì e non volle più tornare. Dio la esiliò nel regno delle ombre e poi creò, dalla costola di Adamo, la seconda donna, Eva.


 
        PRIMA ORIGINE

  Io sono Lilith la donna destino. Nessun maschio le è sfuggito, nessun maschio vorrebbe sfuggirle.
 

  Lilith: le due lune. Quella nera è completata dalla bianca, perché la mia purezza è la scintilla della dissolutezza, la mia astinenza l’inizio del possibile. Io sono la donna-paradiso che cadde dal paradiso, io sono la caduta-paradiso.

 


  Io, la vergine, etereo viso della viziosa, la madre-amante e la donna-uomo. La notte, perché sono il giorno, il lato destro, perché sono il sinistro, il Sud, perché sono il Nord.
 


  Sono la donna banchetto e i suoi convitati. Demone alato della notte, i Sumeri e Cananei mi chiamarono dea della seduzione e dei desideri, regina di folli voluttà e santa dei piaceri solitari. Mi hanno liberata dalla procreazione affinché io sia l’eterno destino.
 


  Lilith: i bianchi seni. Irrefrenabile è il mio fascino, perché i miei capelli sono neri e lunghi, di miele sono i miei occhi. Nelle interpretazioni del Libro è detto che fui creata dalla terra per essere la prima donna di Adamo, ma io non mi sono sottomessa.
 

  Io, la prima, mai soddisfatta, perché sono l’incontro perfetto, il compimento e il compiuto, la ribelle giammai consenziente. Adamo e il paradiso mi hanno annoiato. Per questo li ho rifiutati e ho disubbidito. Quando Dio inviò i suoi angeli per farmi tornare, godevo. Sulla riva del mar Rosso, godevo. Mi volevano ma io non volevo. Invano hanno cercato di domarmi. Mi hanno esiliato, perché incarnassi l’erranza. Mi hanno fatta ostaggio del deserto della terra, preda dell’oscurità delle ombre e delle bestie feroci. Quando mi venivano incontro, mi divertivo. Non mi sono sottomessa e allora mi hanno cacciato e allontanato perché rifiutavo ciò che era scritto. Adamo, il mio sposo, rimase solo. Triste, abbandonato, lamentandosi, si recò dal Signore che creò dalla sua costola una donna e la chiamò Eva: il secondo modello. La creò per allontanare la morte dal cuore e garantire l’eternità della specie.
    Io sono la prima donna, compagna di Adamo nella creazione non la costola della sottomissione. Dio mi creò dalla terra per essere l’origine e dalla costola di Adamo creò Eva perché ne fosse l’ombra. Quando mi annoiai del mio sposo me ne allontanai per ereditare la mia vita. Ho esortato il serpente, mio messaggero, a provocare Adamo con la mela, quando ci sono riuscita ho dato all’immaginazione il fascino del vizio e ho riportato il piacere del peccato al suo posto.
 


  Io sono la donna donna, la dea madre e la dea sposa. Mi sono fecondata per perpetuarmi ed essere la tentazione di ogni tempo. Ho sposato la verità e il mito per essere duplice. Io Dalila, Salomè e Nefertiti tra le donne, io regina di Saba, Elena di Troia e Maria Maddalena.
 

  Sono Lilith, la sposa eletta e la sposa ripudiata, la notte e l’uccello della notte, la donna della verità, della leggenda, Ishtar, Artemide e i vènti sumeri. Le prime lingue mi raccontano, i libri mi commentano. Quando le donne mi evocano piovono grida di maledizioni.
 

  Sono la tenebra femminile, non la femmina luce. Nessuna interpretazione mi definisce, non mi piego ad alcun significato. La mitologia mi ha accusato di malvagità, le donne mi hanno trattato da uomo; non sono la donna virile, né la donna bambola, sono il compimento della femminilità mancante. Non dichiaro guerra agli uomini, né rubo i feti dagli uteri delle donne, perché sono il demone ricercato, scettro della conoscenza, sigillo dell’amore e della libertà.
 


  Sono Lilith: i due sessi. Sono il sesso promesso. Prendo senza ricevere. Porto ad Adamo la verità e a Eva il suo feroce seno per ristabilire la logica della creazione.
 

  Lilith, l’affine creatura, la pari sposa
  ciò che manca all’uomo perché non si penta
  ciò che
  manca
  alla donna
  affinché
  sia.

SECONDA ORIGINE

  ... Poi Dio creò la donna a sua immagine,
  la creò dalla terra grezza,
  la creò dall’illusione di se stessa,
  Lilith, nei cui occhi il perduto amore
  Lilith, preda, predatrice e loro unione
  che canta come una colomba per domare il leone,
  che legifera per infrangere,
  al tempo stesso minuzia e regina,
  Lilith, che abita il centro della terra
  e la osserva, mentre adagio le gira intorno,
  che possiede i cipressi, i crepuscoli,
  e il lontano orizzonte del mare,
  lei, soffice come una nuvola, cerea come una nuvola,
  che non ha tempo per pianti estivi
  né per lacrime autunnali,
  che lega i suoi uomini e poi piange,perché possano
  liberarsi,
  lei, la sconosciuta
  vestita da meretrice
  lei, il cui passato sta nei sogni, mentre insegue il futuro
  lei, forte nella sua femminilità e quindi dolce
  che soffre per amore suo malgrado
  che divora il cielo, che come latte beve la luna
  lei, per un istante tra le braccia
  l’attimo dopo un’ombra lontana,
  lei, luce dell’alba,
  la cui nudità scorgono solo i ciechi
  donna libera, donna in catene
  donna libera, persino dalla libertà,
  punto dove l’inferno e il paradiso s’incontrano in pace
  desiderio assoluto e voglia di desiderare,
  Lilith, albero chinato dal peso dei suoi fiori
  Lilith, fulmine all’orlo dell’abisso
  Lilith, tenera nella vittoria, potente nella sconfitta,
  Lilith, senza certezze, senza bisogni
  che parla per tutte le donne,
  che vede, senza mai scegliere
  che sceglie, senza mai sprecare
  Lilith, per tutti gli uomini
  pronta a tradire il suo sesso,
  pronta a tradire,
  Lilith, i cui mille tagli sono più teneri di mille baci.
  Lilith, la peccatrice devota,
  poeta demone e demone poeta,
  trovatela in me, trovatela nei sogni,
  trovatela e prendete da lei
  quello che desiderate,
  prendete ogni cosa, prendete tutto:
  nulla sarà mai abbastanza.


1


  Il ritorno di Lilith
 La poesia

 
 (Lilith racconta Lilith)


CANTO DI SALOMÈ FIGLIA DI LILITH



 
        Non temo il diavolo


  perché egli mi sogna.


  Quando chiudo gli occhi e mi dondolo allo specchio


  mi vede.


  Non mi spaventa il diavolo


  danzerò sulle rosse ceneri di Erode


  berrò il vino da vergine mano


  bacerò il mio amato sulla bocca


  per un’ultima volta,


  affinché mi sorrida la morte.


  Tu, mio amante perfetto,


  domatore di iene, signore del deserto,


  non senti la tua ghigliottina,


  il mio cuore,


  che ti chiama?


  Giovanni, vieni,


  io sono la collana fidanzata


  al tuo collo reciso.


  Vieni, battezzami con il sole che ti ha brunito.


  Solo per te sono tornata:


  lascia che il tuo sangue sprecato


  ti mostri il cammino.



Io sono Lilith la dea delle due notti che torna dall’esilio.
  Il demonio delle alcove Lilith.

 


  Io sono Lilith e torno dalla cella del bianco oblio,
  leonessa del signore e dea delle due notti. Raccolgo nella coppa
  ciò che non può essere raccolto e lo bevo, perché sono la
  sacerdotessa e il tempio. Mi abbandono a tutte le ebbrezze,
  perché non si creda che mi possa dissetare. Faccio l’amore
  con me stessa e mi riproduco per creare un popolo del mio
  lignaggio, poi uccido i miei amanti, per far posto a quelli
  che non mi hanno ancora conosciuta.
 


  Torno dalla cella del bianco oblio per coloro che non mi hanno
  ancora conosciuta, per fare posto, ritorno e perché non si creda
  che io mi possa dissetare; dal chiarore dell’oblio, per assediare
  la vita, perché il numero cresca e per uccidere i miei amanti
  io torno.
 

  Sono Lilith la donna-selva. Non ho conosciuto attese
  piacevoli, ma ho affrontato i leoni e le specie elette dei
  mostri. Fecondo i miei fianchi per intessere il racconto.
  Raccolgo le voci nelle mie viscere, perché si completi
  il numero degli schiavi. Mangio il mio corpo, perché non
  mi si tratti da affamata e bevo la mia acqua, per non
  soffrire mai la sete. Le mie trecce sono lunghe per
  l’inverno e le mie valigie non hanno fondo. Nulla mi
  soddisfa, nulla mi sazia. Torno per essere la regina
  degli smarriti nel mondo.
 


  Sono lunghe le mie trecce.
  Lontane
  e lunghe
  come un sorriso smarrito nella pioggia
  come una dolce estasi dopo l’appagamento.
  I miei brividi sono a volte cicatrici di ombre,
  scintillio perenne di coltello.
 

  Sono io, la guardiana del pozzo, l’incontro degli opposti.
  I baci sul mio corpo sono le piaghe di quanti tentarono.
  Dal flauto delle mie due cosce sale il canto e dal mio
  canto la maledizione si spande come acqua sulla terra.
 

  Dea delle due notti, incontro degli opposti
  Brillo solo nell’oscurità risalgo solo gli abissi
  Mi mantengo solo al margine
  Torno solo da una morte
  Io, guardiana del pozzo
  Nessun sospiro si innalza dalla gola
  senza che sia deterso dalla brace delle mie dita
 


  Io sono Lilith, la leonessa ammaliatrice. Mano di ogni
  serva, finestra di ogni vergine. Angelo della caduta
  e coscienza del sonno leggero. Figlia di Dalila, di Maria
  Maddalena e delle sette fate. Nessun antidoto per la mia
  dannazione. Dalla mia lussuria s’innalzano le montagne
  e si aprono i fiumi. Torno per trafiggere con i miei flutti
  il velo del pudore e per asciugare le piaghe dell’assenza
  col profumo della dissolutezza.
 

  Dal flauto delle mie due cosce sale il canto
  dalla mia lussuria si aprono i fiumi.
  Come potrebbero non esserci maree
  ogni volta che tra le mie labbra verticali brilla una luna?
 


  Sono la maledizione del primo anatema
  Disoriento le barche, perché non si plachino le tempeste
  I miei nomi intarsiano le vostre lingue assetate.
  Seguitemi, come la carezza segue il bacio,
  prendetemi, come una notte sul seno di sua madre.
 

  Perché io sono la prima e l’ultima
  la cortigiana vergine
  la concupita temuta
  l’adorata disprezzata
  velata nuda,
  sono la maledizione di ciò che precede,
  il peccato estinto dai deserti, quando abbandonai Adamo.
  Egli errò senza meta, infranse la sua perfezione.
  Io lo precipitai sulla terra e accesi per lui il fiore del fico.
 


  Io sono Lilith il segreto delle dita insistenti. Solco
  il sentiero, divulgo i sogni, fendo le città del maschio con
  il mio diluvio. Non riunisco nella mia arca due della
  stessa specie: piuttosto mi moltiplico, perché il sesso
  si mondi da ogni purezza.
 

  Tutti i sogni mi sono rivelati
  Sono la coscienza del sonno leggero
  Indosso un sogno, per poi sbarazzarmene
  Disoriento le barche e non guido le tempeste,
  con l’astuzia di una nuvola costello il cielo
  Perché nessuno riceva il mio miele
  Non ho una casa, né un cuscino
  Sono la schiava nuda
  che dà significato a ogni nudità.
 


  Sono il volo dell’urlo, l’insinuazione dell’essenza,
  vengo a svegliare la giungla e i suoi marinai,
  per divampare invado le vostre fontane
  su ogni luogo poso la mia azzurra mano.
  Mi avete udita prima che raccontassi,
  mi avete vista prima che apparissi,
  mi avete amata prima che mi espandessi.
  Sono il superstite e il boia,
  sono l’azimut,
  dove scappate, mentre mi correte incontro?
 

  La mia fame penetra le mie prede:
  vi domo, vi posseggo
  non si vuota la mia coppa.
  La mia estasi non è in quel che offro
  ma in quel che rifiuto.
  C’è vino solo nella mia giara.
 

  Sono Lilith, la coppa e il coppiere.
  Sono venuta a dire:
  tocca a me bere più di un bicchiere,
  sono venuta a dire:
  il coppiere è cieco,
  sono venuta a dire:
  Adamo, Adamo ti preoccupi di molte cose
  ma una sola è necessaria.
 

  Raccoglimi,
  una sola cosa è necessaria,
  raccoglimi a flutti nei tuoi occhi,
  fissa le tue vette nei miei abissi,
  incidi i tuoi bordi sulla memoria dei miei palmi
  e annusa la pantera nascosta dove iniziano le spalle.
 


  Io, versetto della mela, i libri mi hanno scritta, anche se
  non mi avete mai letta. Il piacere sfrenato, la sposa ribelle,
  il compimento della lussuria che porta alla rovina totale:
  sulla follia si schiude la mia camicia. Quanti mi ascoltano
  meritano la morte e quanti non mi ascoltano
  moriranno nel rimorso.
 

  Sigillo i vostri corpi con il mio mistero
  Apro la mia camicia, uno spiraglio sulla follia
  come una bocca s’inalvea tra due colline.
  Apparentemente unica
  molteplice nell’abisso
  vi catturo con i miei sette corpi.
 

  Sono Lilith, la luna segreta
  il labirinto è la mia bussola, l’esodo è la mia dimora
  Non v’è postino che suoni alla mia porta,
  non v’è casa che raggiunga la mia finestra,
  non v’è finestra oltre l’illusione.
 


  Non sono la ritrosia né la giumenta facile,
  piuttosto il sussulto della prima tentazione.
 

  Non sono la ritrosia né la giumenta facile,
  piuttosto lo svanire dell’ultimo rimpianto.
 

  Sono il passero cacciatore
  Inutili le vostre imboscate, sono io il sublime respiro,
  invano aprite il Libro, sono io il verbo e le mie ali si accingono
  a prendere il volo,
  invano state in agguato e mi puntate
  Il mio corpo si offre alle vostre lance.
 

  Libera e nobile
  Libera, nobile e misteriosa come un cipresso,
  per cicatrizzarmi nel corpo del vento,
  per divenire l’ombra del vento.
 

  Sono Lilith
  l’ultima danza di Salomè, l’eclissi della luce.
  Risalgo le vostre notti, pietra dopo pietra,
  ogni volta che il sole si allontana.
  Risalgo per prepararvi un banchetto da sogno,

  per cercare rifugio nella vostra fuga,
  per dare alla mia mente un posto nei vostri sogni.
 

  Risalgo il cammino della notte per le mie fiamme,
  per i vostri sogni
  non desidero certezze ma solo presentimenti,
  non cerco la fine, ma solo il piacere di non arrivare,
  le vostre notti sono la scala per raggiungermi,
  la mia mano tesa oltre l’immaginazione.
 

  Sono la stella degli sciacalli e la pioggerella di Ishtar.
  Unica e tante, brillo di lacrime perdute
  affinché dormiate con me.
  La disubbidienza e la sconfitta sono mie amiche.
  Non c’è una terra per sgorgare,
  né ancoraggio che sorregga le mie inclinazioni.
 

  Io, concepita sotto il segno dello scintillio
  Ossessione che si crede,
  un alveare è la mia lingua, da divorare restando intatta.
  Grido la mia fame
  che protegge il mio delirio.
 

  Sono l’orgoglio dei due seni
  piccoli, affinché crescano e ridano
  affinché chiedano e siano mangiati.
  Sono salati, i miei seni
  così alti che non riesco a raggiungerli:
  baciateli per me.
 

  Due lanterne per indicare due bagliori
  Due piccoli per perdonare le loro sciocchezze.
 

  Io, l’angelo scostumato. Prima giumenta di Adamo
  e corruttrice di Satana. L’illusione del sesso represso, il suo
  grido più forte. Pavida, perché sono la ninfa del vulcano;
  possessiva, perché sono la dolce ossessione del vizio. Il primo
  paradiso non poté sopportarmi. Fui cacciata, perché seminassi
  discordia sulla terra, perché governassi sui giacigli gli affari
  di chi soggiogavo.
 


  Talmente pudica da nascondermi in parole oscene
  Tanto insolente da arrossire gridando il mio fuoco
  Cacciatrice provetta, scaglio parole come frecce
  che a me tornano cariche di prede.
  Sono Lilith, la luce che sorge dalla terra, il molteplice corpo
  dell’immaginazione
  Togliete la criniera da leone dalle vostre teste e portate la mia nuvola
  Che sia la vostra unica estate un lungo bacio sul collo
  un abbraccio che profuma la soglia.
 

  Le mie cosce, purgatorio dei fannulloni,
  dolce morte tra loro
  perché il diavolo si senta a suo agio
  una prigione che le liberi
  sotterfugio dei briganti e viaggio del peccato commesso.
  Ci sarà una meta per il molteplice corpo dell’illusione?
 

  Io, vizio smarrito,
  ninfa del vulcano,
  vi aspetto nella fornace:
  il ladro sarà derubato,
  il rapinatore rapinato,
  perché sia quel che sarà.
 

  È mio il trono di Balqis e il diadema di Cleopatra
  il libro di Narciso e la testa di San Giovanni
  la mia bocca è il mio unico mantello
  e il mio sesso recluso reclama senza sosta
  nei meandri della testa.
 

  Sono Lilith, pirata delle maledizioni deliziose
  la violatrice e la violata, Lilith l’ammaliatrice.
 


  La mia mano è la chiave del fuoco, la malvagità della speranza
  I vostri corpi sono legna da ardere, la mia mano il braciere
  un desiderio violento, la mia mano
  se volesse,
  sposterebbe montagne.
 

  Io, campo di grano dove scintilla il desiderio.
  Porta la tua falce, mietitore!
  Prendi, spremi, inumidisci
  Carezza, arrotola, srotola
  sii l’ascia e il boscaiolo
  il senso e il senso contrario,
  che il tuo ricordo maturi i frutti,
  che la tua mano navighi nell’attesa fluida,
  che le tue dita si contendano la luna e l’annegamento:
  il mio fiume non comincia a scorrere
  se non quando l’albero si china su di lui.
 


  Affamatemi, perché i profumi si infiammino
  Istigatemi, affinché mi inondi,
  io, la tenera albicocca,
  ribelle come un melograno,
  spremetemi
  e ungete con l’olio delle mie poesie i piedi delle donne virtuose.
 

  Sono Lilith il destino di coloro che sanno
  L’impetuosa, la miserabile, la conosciuta, la tenebrosa
  I libri mi hanno scritta e voi non mi avete letta
  Ecco le mie visioni,

  sulla vetta del settimo giorno.
 

  Sorte di chi ha inteso e dea delle due notti. Fusione del sonno
  e della veglia. Io, poeta embrione, smarrendomi ho guadagnato
  la mia vita. Torno dall’esilio per essere la sposa dei sette giorni
  e le ceneri di domani.
 

  Io sono la leonessa seduttrice e torno per coprire i sottomessi
  di vergogna e per regnare sulla terra. Torno per guarire
  la costola di Adamo e liberare ogni uomo dalla sua Eva.
 

  Io sono Lilith
  e torno dal mio esilio
  per ereditare la morte della madre che ho generato.

2


  Il ritorno di Lilith
 La Scena teatrale

  (Gli uomini raccontano Lilith)



CANTO DI NEFERTITI FIGLIA DI LILITH




        La bella è arrivata


  la saliva del sole le imperla la bocca,


  sulla fronte ha una corona di stelle.


  La bella dallo sguardo bruciante è arrivata


  Lei la cui assenza è dispotica


  Lei la cui presenza è dispotica


  Lei la cui mano, d’uccelli e foreste è abitata.


  La bruna leonessa è arrivata


  la malia dello sguardo rivela il kohl,


  e rose d’Egitto le ornano il petto.


  Avvicinatevi popoli


  da Oriente e da Occidente


  offrite i sacrifici alla vostra signora


  e tu, Akhenaton, gioisci perché la tua forte e cupa sposa è arrivata:


  salta nel suo letto placala, infuocala, infiammala:


  Lei si è destata dal sonno


  affinché la notte ti vegli.






  Sette uomini vestiti di nero disposti in cerchio sulla scena: l’amante, il padre, il figlio, lo sposo, il maestro, il fratello e l’amico. Il teatro è buio ad eccezione del cerchio di uomini. Prima che qualcuno di loro proferisca parola è necessario fare un passo indietro: si allontana verso l’oscurità, parla, poi torna nel cerchio illuminato.

  Gli uomini sono fermi a capo chino come se stessero osservando qualcosa, o qualcuno, al centro del cerchio. Lì, nel mezzo, c’è una fessura nel pavimento da cui appaiono di tanto in tanto lingue di fuoco.

  È il varco dell’inferno, dimora di Lilith.

 


 


  L’amante:
       È in ritardo.
 

  Il padre:
       No. Lei è qui.
 

  L’amante:
       È qui e non la vediamo? Com’è arrivata senza che la vedessimo? Quando è arrivata?
 

  Il figlio:
       Prima che cominciassimo ad attendere il suo arrivo, è arrivata.
 

  L’amante:
       Com’è arrivata, senza che la vedessimo?
 

  Il marito:
       È passata tra noi a occhi chiusi.
 

  L’amante:
       Quando li aprirà?
 

  Il maestro:
       Quando si chiuderanno tutti gli altri.
 

  L’amante:
       Non ci ha ancora chiamati?
 

  Il fratello:
       Ci ha chiamati. Con voce dissimulata ci ha chiamati.
 

  L’amante:
       La conoscete?
 

  Il padre:
       La conosco. È la mano che si è piantata e arrampicata.
 

  Il figlio:
       La conosco. Mi ha generato per due volte.
 

  Lo sposo:

       La conosco. A lungo ho percorso lo stretto cammino tra i suoi seni.
 

  L’amico:
       Non la conosco, ma ho bisogno di lei così come Dio ha bisogno del mio credo per assicurarsi l’esistenza.
 

  Il maestro:
       Il suo sorriso assomiglia all’attimo in cui l’angelo accarezza la sua bellezza.
 

  Il fratello:
       Lei è la sposa che sottrae i mariti alle amanti.
 

  L’amante:
       La signora dei sogni infuriati.
 

  L’amico:
       Il tralcio dei vizi e i migliori grappoli d’uva.
 

  Lo sposo:
       La monaca del letto che si annoia e dimentica facilmente.
 

  L’amante:
       Viene, senza essere chiamata.
 

  Il padre:
       Prende, senza essere invitata.
 

  Il figlio:
       Sempre pronta a tutto.
 

  Lo sposo:
       Sono suoi tutti i sentieri.
 

  Il maestro:
       Cattura il mare dalla cima delle onde.
 

  Il fratello:
       I rami tacciono al suo passaggio.
 

  L’amico:
       La discorde, la diversa, l’importuna, esiste veramente?
 

  Il maestro:
       Ciò che esiste è vero? Noi stessi non siamo solo il nostro pensiero, il nostro sogno?
 

  L’amante:
       La discorde, la diversa, l’importuna, dove abita?
 

  Il padre:
       Nel letto di un fiume.
 

  Il figlio:
       Sul bordo di una montagna.
 

  Lo sposo:

       Presso le frange di una fornace.
 

  L’amante:
       La desidero. Incedo verso lei sull’orma di un albero per essere suo guardiano, qualora perdesse la stella, per soddisfare le sue vallate nella tentazione delle discese, per essere il percorso del suo peccato.
 

  Il padre:
       La sua stella non si smarrisce, perché lei è il corpo tornato a essere verbo, un dedalo risolto con naturalezza.
 

  Il figlio:
       Lei è la luna. L’anello della luna che ulula ai lupi.
 

  Il maestro (rivolgendosi all’amante):
        Cammini invano. Non la raggiungerai.
 

  L’amante:
       Cammino. Come una nuvola che si adagia sul vuoto, o su una poesia. Sotto la torre del labirinto e della vertigine cammino, unto dai miei desideri, perché lei sia il porto di mezzanotte.
 

  L’amico:
       Non la raggiungerai.
 

  Gli uomini tutti insieme:
       Non la raggiungerai.
 

  L’amante:
       Non la raggiungerò. È troppo bella, furba e vicina perché riesca a raggiungerla. Ogni volta che da idea si trasforma in realtà si completa la profanazione dell’acqua e lei come il segreto all’altare torna a preservare la sorpresa.
 

  Il padre:
       Ho bisogno di lei, come Dio ha bisogno di me per affermare la propria esistenza, come lo specchio ha bisogno dell’occhio e il riflesso della fonte.
 

  Il maestro:
       Come il mio sole ha bisogno dell’oscurità, per gioire del gusto della pigrizia.
 

  Il fratello:
       Lei è il pirata guardiano e lo stalliere cavaliere.
 

  Il figlio:
       La leonessa divorata dai suoi leoncini. La leonessa che divora se stessa per rigenerarsi di nuovo.
 

  Lo sposo:
       Il tesoro raccolto perché venga saccheggiato.
 

  Il figlio:
       L’anello mancante di ogni catena.
 

  L’amante:
       Piuttosto l’ape che si adagia sui petali perché i suoi desideri possano elevarsi.
 

  Il maestro:
       La fanciulla, anche. Quella che fugge la prigione della sua camicia per divenire prigioniera del mio letto.
 

  L’amico:
       Senza di lei sono Adamo diviso tra le lacrime, una statua senza ali. Senza di lei sono l’odio di Caino versato invano.
 

  Il maestro:
       Senza di lei sono menzogna. Un negro che si colora il viso di calce per non eiaculare nero, un libertino travestito da santo devoto, perché gli siano perdonati i piaceri solitari.
 

  Il padre:
       Ho bisogno di lei. Ho bisogno di lei come Dio ha bisogno di me per rassicurarsi.
 

  Il fratello:
       È vero che ruba i feti alle donne?
 

  Il figlio:
       Ruba coloro che sono destinati a essere poeti. Loro compongono il suo popolo e il suo popolo le appartiene.
 

  L’amico:
       Delle farfalle di brace volteggiano sull’orlo del suo spiraglio.
 

  L’amante:
       L’uomo feconda la sua testa prima del suo ventre.
 

  Lo sposo:
       Lei, sette donne in una. Una per ognuno di noi.
 

  L’amante:
       Piuttosto sette per ognuno.
 

  Il padre:
       Versiamole il latte di sette tori.
 

  Lo sposo:
       Illuminiamola dei sette desideri del guardone.
 

  Il figlio:
       Girovaghiamo lungo le sette rive impolverate.
 

  Il maestro:
       Onoriamo per lei i sette peccati capitali.
 

  L’amico:
       Allontaniamoci dalle sue sette rive e poi stendiamoci.
 

  Il fratello:
       Provochiamo le sette armate che a lei aspirano.
 

  Il padre:
       Lei è come un fiume, come il destino, non si distrugge.
          Non si annienta. Non si brucia.
 

  Il figlio:
       Come una madre, non si distrugge, non si annienta, non si brucia.
 

  Il maestro:
       Ho bisogno di lei come Dio ha bisogno di me per dimenticare che esiste.
 

  L’amante:
       È in ritardo. La mia sposa è in ritardo.
 

  Il figlio:
       Non è in ritardo. Lei è qui.
 

  L’amante:
       Con quale luce è arrivata, senza che la vedessimo?
 

  L’amico:
       È venuta attraversando l’asperità del sentiero dei suoi intrepidi seni.
 

  Lo sposo:
       È venuta incendiando l’oscurità del cunicolo con le sue splendide anche.
 

  Il padre:
       È venuta bagnando la crudeltà della terra con la sua tenera dolcezza.


  Il maestro:
       È venuta come vampa di mezzogiorno, come battito di mezzanotte. Come vampa di vita a mezzogiorno, come battito di morte a mezzanotte. Come vuoto colmo di rose, come parole che mentono per salvarsi. Come pozzo che raccoglie briciole di silenzio. Come mente libidinosa.
       È venuta come un addio, come un incontro, come l’addio nell’incontro, come un amore impossibile.
 

  L’amico:
       I ruscelli del cielo scorrono tra il suo animo e il mio. La sola possibilità infiamma le mie tranquille colline.
 

  Il padre:
       Perché lei è il dito che fende il ricordo, la notte che custodisce le altre.
 

  L’amico:
       Perché lei è la lingua che fa tremare i letti degli uomini.
       Scuote i dormienti, morti accanto alle loro spose.
 

  Il padre:
       Perché lei è l’esiliata. Il poema bandito che cerca dimora: il poema strappato alle unghie e non il poema che rallegra la lingua dei suoi mendicanti.
 

  Il fratello:
       Lei che si genera all’infinito senza ripetersi mai.
 

  Il figlio:
       Lei è il segreto di se stessa, che ignora.
 

  L’amante:
       Lei non è il segreto, ma l’inganno.
 

  Il padre:
       Lei non è l’inganno, ma l’immensità.
 

  Il figlio:
       Lei non è l’immensità, ma la prigione.
 

  Lo sposo:
       Lei non è la prigione, ma la tirannia.
 

  Il maestro:
       Lei non è la tirannia, ma la vittoria.
 

  Il fratello:
       Lei non è la vittoria, ma il capriccio.
 

  L’amico:

       Lei non è il capriccio, ma l’opportunità.
 

  L’amante:
       E il corpo. Il corpo caldo del vino nel momento in cui viene versato, il corpo curvo degli oceani, quello tumultuoso dei campi di grano, il corpo del vulcano in ogni pezzo di pane, il corpo delle radici che invocano una nuvola, il corpo del desiderio eretto tra me e la morte, il corpo dell’arena, della battaglia e delle sue vittime, il corpo dell’apogeo e dell’abisso, il corpo dei treni che corrono, dei tetti insonni, il corpo dell’acqua bagnata dal vento, il corpo del piacere di assopirsi tra due rive, il corpo della traccia di un bacio sul collo, del sudore del sesso, dei respiri affrettati sulle soglie, il corpo delle camere complici e di quelle invidiose, il corpo del calore bruciante, sbocciato nelle pupille, e dell’impronta svanita dei miei antenati, il corpo delle parole di dolore, del delirio abbandonato a se stesso, a me stesso, il corpo dell’anemone che porta la Terra sulle sue spalle, il corpo ruvido di una cascata di paura, il corpo dell’eco, il corpo dei segreti svelati dalle mura delle case e dei segreti quando i muri delle case li tacciono, il corpo di ogni catastrofe sul punto d’avvenire, il misterioso corpo della lingua umida, il corpo del fremito dell’umidità rarefatta, il corpo di cosce impreviste, il corpo della foresta incendiata dalla propria legna.
 

  Il padre (si unisce a lui):
       Il corpo fecondo del muschio, il corpo di ogni riga corretta, il corpo della cintura indulgente con gli avidi, il corpo della chiave dell’ultimo mare
 

  Il figlio (si unisce a loro):
       Il corpo dello sguardo di un gatto persiano, il corpo delle labbra gonfiate dall’intensità dei denti, il corpo madido del profumo del sale, il corpo del sale bagnato da ogni estasi
 

  Lo sposo (si unisce al coro):

       Il corpo del ruggito della sabbia quando si spazientisce, il corpo dell’eco dell’ombelico primordiale, il corpo bianco dell’uccello notturno, il corpo dell’angolo smarrito in ogni cerchio
 

  Il maestro (si unisce al coro):
       Il corpo delle stagioni dell’acqua alla ricerca di un colore, il corpo di un collo preso alla sprovvista, il corpo del sentimento ardito, il corpo del bacio sulla partenza, il corpo del ritorno su ogni bacio
 

  Il fratello (si unisce al coro):
       Il corpo delle colline che sfidano la legge di gravità, il corpo dell’eternità nell’intuizione del presente, il corpo del languore inquieto sui seni, il corpo della saliva tra due bocche
 

  I sette uomini (tutti in coro attratti dall’oscurità fuori dal cerchio):
        Il corpo delle cifre che litigano, il corpo del nocciolo, che il frutto non può più contenere, il corpo della creazione e dell’annientamento, il corpo del drago che abita il settimo porto, il corpo del porto che abita il drago, il corpo segnato dall’indolenza, il corpo stellato dell’indolenza...
 

  Poi, si ode una forte musica che interrompe il delirio del coro.

  Svanisce la fessura da cui fuoriuscivano le lingue di fuoco dal centro del cerchio. Da un’apertura sul soffitto si sente la voce di una donna:
       Sono Lilith, la dea delle due notti che ritorna dal suo esilio
 

  I sette uomini (in un’unica voce):
        Ecco Lilith, la dea delle due notti che ritorna dal suo esilio
 

  Lilith:
       Ritorno dal paradiso perché sono la messaggera dell’inferno
 

  I sette uomini:
       Ritorna dal paradiso perché è la messaggera dell’inferno
 

  Lilith:
        Come la terra invia la sua acqua al cielo, così mi ha inviata
 

  I sette uomini:
       Come la terra invia la sua acqua al cielo, così l’ha inviata
 

  Lilith:
        Sono venuta a dire che la fame è un peccato
 

  I sette uomini:
       La fame è un peccato
 

  Lilith:
       L’appagamento è un peccato
 

  I sette uomini:
       L’appagamento è un peccato
 

  Lilith:
       E la brace è il primo dei comandamenti
 

  I sette uomini:
       La brace è il primo dei comandamenti
 

  Lilith:
       La fame è un peccato, l’appagamento è un peccato e la brace è il primo dei comandamenti
 

  I sette uomini (all’unisono):
       La fame è un peccato, l’appagamento è un peccato e la brace è il primo dei comandamenti. La fame è un peccato, l’appagamento è un peccato e la brace è il primo dei comandamenti. La fame è un peccato, l’appagamento è un peccato e la brace è il primo dei comandamenti. La fame è un peccato, l’appagamento è un peccato e la brace è il primo dei comandamenti.
       La fame è un peccato, l’appagamento è...
 

  Sulla scena cala l’oscurità, ma gli uomini continuano il loro canto:
        ... un peccato e la brace è il primo dei comandamenti. La fame è un peccato, l’appagamento è un peccato e la brace è il primo dei comandamenti. La fame è un peccato, l’appagamento è un peccato e la brace è il primo dei comandamenti. La fame è un peccato, l’appagamento è un peccato e la brace è il primo dei comandamenti. La fame è un peccato, l’appagamento è un peccato e la brace è il primo dei comandamenti. La fame è un peccato, l’appagamento è un peccato e la brace…
 

  Si abbassano le tende. Ma gli uomini continuano il loro canto (gradualmente le voci si affievoliscono fino a divenire mormorii incomprensibili):
        ... è il primo dei comandamenti. La fame è un peccato, l’appagamento è un peccato e la brace è il primo dei comandamenti. La fame è un peccato l’appagamento è un peccato e la brace è il primo dei comandamenti. La fame è un peccato l’appagamento è un peccato e la brace è il primo dei comandamenti. La fame è un peccato l’appagamento è un peccato e la brace è il primo dei comandamenti. La fame è un peccato l’appagamento è un peccato e la brace è il primo dei comandamenti. La fame è un peccato, l’appagamento...

3


  Il ritorno di Lilith
 Il testo

  (Dio racconta Lilith)



CANTO DI BALQIS FIGLIA DI LILITH



 
        Io, regina di Saba,


  saggia tra i sapienti, scivolata tra i distratti,


  Salomone ha inviato un’upupa a rapirmi.


  A lui, prima di me, è giunto il mio profumo


  E le mie sabbie mobili lo hanno catturato,


  ma non volle addolcire le mie mura.


  Io, amazzone coraggiosa:


  la lavanda mi annuncia e mi inseguono i cervi.


  Domino il mio regno con giustizia


  uomini e demoni soggiogo


  punisco i sazi per nutrire i miei amanti affamati.


  Mio è l’amo del sogno e della veglia


  mie le armi degli eserciti, in me è il loro rifugio


  Io, la deliziosa eletta


  dalla voce di zucchero e tenebre


  torno per dare l’anello a Salomone


  e riprendere il mio trono.



Sì, un giorno mi sveglierò e dimenticherò di essere Lui. La memoria mi tornerà e dimenticherò che mi hanno inventato, creduto e poi accusato di follia, perché mi avevano prestato fede. Dimenticherò chi ha negato la mia esistenza e anche chi mi ha ucciso. Dimenticherò di aver creato il mondo in sette giorni, di aver gravemente fallito, di essermi pentito e stancato. Dimenticherò chi mi ha offeso, chi si è prostrato dinanzi a me, chi ha insultato il mio nome e chi non l’ha fatto. Dimenticherò di essere il futuro, il passato e il presente. Un giorno dimenticherò tutto ciò e riposerò. Ma ho paura: se dimentico, se mi torna la memoria, se dimentico che mi hanno inventato, creduto e poi accusato di follia perché mi avevano prestato fede, se dimentico chi ha negato la mia esistenza e anche chi mi ha ucciso, se dimentico che ho creato il mondo in sette giorni, che ho gravemente fallito, se dimentico di essermi pentito e stancato, se dimentico di essere il futuro, il passato e il presente, ho paura di dimenticare tutto questo e di abituarmi a svegliarmi all’alba, senza provocare l’immaginazione delle donne scalze, ho paura di dimenticare anche la mia esistenza e dubitare della mia esistenza, se smetto di ostinarmi a voler esistere. Ho paura di dimenticare tutto ciò, di considerarmi un essere umano e di cominciare a combattere lo straniero e il prossimo, la mia famiglia e me stesso, sperperando i miei beni. Ho paura di innamorarmi del mio volto, delle mie cose, di cercare le mie immagini nei libri, sulle tele, nelle ossessioni, di non abbandonare nessuna donna senza aver allungato su di lei il mio sguardo viscido e affamato. Ho paura, se dimentico di essere Lui, di considerarmi un selvaggio, di catturare gli uccelli e ucciderli, di cacciare le formiche sugli alberi. Ho paura di avere un corpo che la terra non può contenere e, dimenticando di morire col tempo, ho paura di divenire nemico di me stesso, di volteggiare nei venti, nell’immaginazione della coscienza e della ragione, ho paura, negando la mia esistenza, di considerarmi la favola inventata, un’immaginazione divorata da branchi di lupi
 

  E di capire che l’immaginazione ha superato la favola prima di essere divorata da branchi di lupi.
 

  Ma forse, se dimenticassi di essere Lui, potrei credere di essere un piccolo pesce rosso, crederò che una donna nuoti nel mare tra i pesci e che io sia uno di quelli che nuota con lei, crederò che lei sia felice perché io, piccolo pesce rosso, nuoterò tra le sue gambe, e mi riterrò felice di essere un pesce che le gira intorno. Ma forse sarò frustrato perché mi accorgerò che non sono altro che un pesce tra le sue gambe e non una persona. Forse, dunque, non avrò paura, se dimenticherò di essere Lui, di ritenermi polvere, verbo presente, porta smaniosa di essere aperta quando si infiamma l’attesa di una donna per un uomo, illusione delle ginocchia quando ci si rialza dopo una caduta, lato destro quando una donna si inclina a destra, pane quando un vecchio lo sbriciola nel suo piatto, dolce nome di bimba, sasso gettato da un bambino in un fiume, cerchio creato dal sasso gettato da un bambino in un fiume, fiume che crea il cerchio creato dal sasso gettato da un bambino, corta scala verso le stelle. Sarebbe formidabile dimenticare di essere Lui perché non sono più capace di ricordare in quale giorno, guardandomi allo specchio, mi sono trovato più morto di prima e mi sono accorto dei secoli trascorsi ad annoiarmi fino a diventare la virtù noiosa. Invano sono diventato uomo e tornato a essere Lui, l’inutilità di divenire il nulla, la consapevolezza di restare solo. Non sarò più colui che ha impedito alla mano di allungarsi verso il frutto, sarò il serpente, sarò il frutto che anela la mano vietata, perché dopo di ciò
 


  ho rinunciato all’idea che Adamo comprendesse Eva, che Eva comprendesse Eva, che il gobbo suonasse le campane della cattedrale a tempo debito, che il secondo diluvio spazzasse via la corruzione, e dopo aver cominciato a vedere il marcio nel verde, nel blu, e ovunque, ho cominciato a realizzare la gravità del mio errore e l’orrenda catastrofe che ho inflitto alla Terra quando ho esiliato Lilith. Sì, ho cominciato a realizzare tutto ciò il giorno in cui, allo specchio, mi sono visto morto. Allora non ho potuto… e non potrò… perché mi sono follemente innamorato di Lilith. Per lei ho amato la mia follia e per lei, per Lilith, sono nato in tutti gli uomini. Per me l’ho fatta nascere in tutte le donne, nel loro fior fiore. Perché lei è il debole spettro che nessuno vede ed io sono il nessuno, spettatore, sono il sospiro del posto vuoto. Lei è me perché io sono ciò che vedo di fronte a me, e ciò che vedo è l’unica goccia che manca alla mia acqua per traboccare, ciò che vedo è la finestra che impedisce al suo sospiro di giungere fino a me, e
 

  era come se lei volesse salvare la vita delle vene della fessura, era come se le dicessi che non ero vero. Non ero sicuro di essere realmente vero quando le dicevo di non esserlo. Lei era l’ombra dell’acqua dolce che ha smarrito il suo cammino. Lei era la soglia, il sentiero e la dimenticanza del cammino. Lei era il disagio dello sguardo in sé, il vuoto colmato della sua vacuità, il mio contrario e la mia perfezione, ed io non
 

  gridavo senza sapere che lei fosse il crepuscolo più imponente della chiarezza. Non gridavo e non osavo farlo perché le corde del suo sogno mi stringevano il collo, perché sono un funambolo sulle corde e ho capito, ho cominciato e poi rinunciato, perché non volevo conoscere l’ora in sua presenza, perché la sua voce colorava tutto di rosso, infrangeva le regole, perché lei è l’intenzione tra la speranza e il suo compimento, perché lei è la luna che l’ama più di me, il sole e il vento, perché lei è la nuvola e le sue mani vuote non sono mai veramente vuote, perché lei è il mattino, a lungo si fermerà e resterà finché la farfalla sulla sua spalla si calmerà, perché lei è
 

  LILITH
 


  Ho realizzato la gravità del mio
  errore e l’orrenda catastrofe che
  ho inflitto alla Terra quando l’ho
  esiliata. La sua disubbidienza mi
  ha terrorizzato, invano l’ho pregata
  di restare e di non restare. Per
  lei ho creato Adamo, ma se ne è
  annoiata, è partita e si è ribellata.
  Allora ho inviato i miei angeli a
  prenderla, ma ha rifiutato e ha
  disobbedito. Godeva, Lilith, e ha
  detto: «Abbandonare questi piaceri
  per vivere con la schiera dei
  Perfetti?». Disse: «Nessuna redenzione,
  perché non c’è salvezza per
  gli angeli, se non nella caduta». E
  lei è caduta, ha gioito cadendo, e
  aveva pienamente ragione di gioire.
  Forse l’ho invidiata, Io: il Lui,
  perché si è rallegrata e perché io
  sono la prigione e sono incapace
  di uscirne. Forse non ho capito
  quanto avesse ragione, perché ero
  adirato, incollerito, o offuscato,
  non ricordo più. Ero convinto che
  non avrei potuto sopportare la sua
  rude ribellione, nonostante la sua
  impudenza mi abbia sempre eccitato,
  ma la sua dissolutezza mi ha
  accecato. Forse ho esitato prima
  di osare, forse ho colto un fiore
  affinché si dichiarasse, e si è dichiarata.
  Allora l’ho esiliata per sempre,
  ho respinto Lilith. L’allontanai
  dal mio sogno e guardandomi allo
  specchio compresi la mia debolezza
  e la mia tristezza, compresi
  quanto il sapere fosse inutile e
  quanto mi strozzerà la morte,
  perché, quando l’ho allontanata, mi
  ha abbandonato e mi sono abbandonato,
  la poesia è divenuta solitaria
  e insufficiente e io incapace
  di vivere, di cancellare il colore dei
  suoi occhi nei miei, di guardare al
  passato. Mi sono pentito, tanto da
  pensare al suicidio. Ho avuto paura,
  suicidandomi, di divenire realtà,
  allora ho rinunciato per proteggere
  gli scettici e ho creato uno
  splendido surrogato di Lilith.
  Quanto mi sono pentito di averla
  chiamata Eva, e quanto mi pentirò
  ancora perché solo Lilith è l’origine
  dell’umanità, perché lei è l’onda
  e il mare, perché i miei capelli
  sono spuma e anche le mie mani e
  il mio braccio, perché non posso
  raggiungerla, e come farina vengo
  soffiato lontano da lei. Ho capito
  che lei è la strega verso cui curva
  l’albero, la contemplazione del
  cielo alto, la corda tesa tra due
  montagne, affinché cada lei e tutti
  gli altri. Le ho dato un volto tra i
  fiumi e i vulcani, perché mi indicasse
  il mio sigillo. Lei mi ha rubato
  il sigillo, l’ha vuotato dei nomi
  che gli avevo dato. Allora ho capito
  che sono l’Onnipotente senza
  luogo e che lei non vuole essere
  mia complice, che sono colui che
  ignora verso quale morte questa
  mano lo condurrà, verso quante
  morti
 

  Sono stanco di abitare nelle coscienze, invidio il diavolo per le sue tentazioni, nessun incantesimo può allontanare dal mio animo il ricordo di Lilith. Stanco di sopportare la quiete, di essere il senso dell’insensato, di essere invano diventato uomo, e poi di nuovo Lui, poi il nulla, poi il tutto. Invano. Lei ha detto: «Nessuna redenzione, perché non c’è salvezza per gli angeli, se non nella caduta», e aveva pienamente ragione. Farò ridere, farò scempio, farò scherzi, farò buio e scenderò
  il
    pendio
              passo
                      dopo
                              passo
                                       fino
                                              a
                                                raggiungere
                                                                   il
                                                                     fondo
  Perché il paradiso è sul fondo ed io non mi accontenterò.
  So che
 

  un mostro terribile scorre nelle vene di Lilith, la mia eco risuona timorosa, io sono l’umiltà del bisogno, lei è polvere dell’eccellenza, io sono il desiderio vellutato, lei è il desiderio minaccioso, la meta della sua partenza. Sono il Lui per lei e lo sconfitto per me stesso, la sua tenerezza mi penetra le ossa. Ogni volta che invento una donna, ne rimango deluso e un sole tramonta. Sono l’inconcludenza nelle parole, lei è l’azione. Lei è la curva ghigliottina, come un serpente attorno al mio collo. Mi coltiverà, fune per la sua brace. Sono la fascina di paglia nel campo, lei è la scintilla. So che io
 

  Sono minuzia, non ho compreso che una stessa luna ci ha smarriti
 

  E so che
 

  Chiuderò tutte le porte perché entri solo l’illusione, moltiplicherò le fughe per fare posto alle sue labbra che restituiscono occhio per occhio, fuoco per fuoco. Farò posto alle sue labbra devote e oscene, farò posto alle sue labbra che recitano la preghiera di Eros a memoria. Lei che genera dai suoi seni. Sogno i miei corpi flottanti sul suo, come cortine. Farò posto alle sue folli e deliziose labbra che sanno allontanare tutti dalla loro casa, per evadere, perché la Terra azzurra è la sua dimora. Farò posto a colei che si è stancata di Adamo, a colei che è scappata e si è ribellata, decidendo che la notte si riempisse di criminali. Mi pento. Mi pento e ho paura che se dimenticherò di essere Lui per lei, comincerò a fare la guerra al prossimo e allo straniero, alla mia famiglia e a me stesso. Ho paura di ritenermi uno di quei pesci tra cui nuota una giovane donna.
 

  Ho paura di sentirmi frustrato, perché sono solo
             un piccolo pesce rosso tra le sue gambe
  e il lato destro, quando una donna
             si inclina a destra, di essere un bambino sul fiume,
  il fiume che crea il cerchio generato dal sasso lanciato dal bambino nel fiume
             e non sarò mai colui che ha proibito
  alla mano di cogliere il frutto perché mentre ero morto mi sono guardato allo specchio e non ho potuto... Invano l’ho pregata di tornare, con dolore e follia l’ho pregata, perché era impossibile non per lamentarmi. Ero cupo e senza un nitido ricordo. Sono assenso e dissenso al tempo stesso. La conoscenza mi è inutile, mi sono vendicato di Adamo e ho disprezzato Eva, mi vendicherò di lei tramite lui, disdegnerò lui tramite lei. Mi sono abbandonato a me stesso, finché la poesia non basterà più, sono l’Onnipotente al posto sbagliato. Ma un giorno
 

  Mi sveglierò un giorno dimenticando di essere Lui
  Dimenticherò che mi hanno inventato, creduto e poi accusato di follia, perché mi avevano prestato fede. Dimenticherò chi ha negato la mia esistenza e chi mi ha ucciso. Dimenticherò di aver creato il mondo in sette giorni di aver gravemente fallito, di essermi pentito e stancato. Riposerò e saprò che il viaggio non è il Segreto, ma che il Segreto è l’inizio, che la fine è l’inizio. Saprò che il viaggio è l’origine, partirò per ricominciare, perché Lilith è la donna
 

  Farà presto ritorno, perché tutti gli uomini abbiano da lei una figlia che chiameranno Lilith e perché queste ultime abbiano a loro volta una figlia che chiameranno Lilith
 

  Sì, presto dimenticherò di essere Lui, il cerchio si completerà e la progenie sarà in equilibrio. Non abbiate paura, il cerchio si completerà, l’errore si riparerà e la fine sarà l’inizio. Sì, un giorno mi sveglierò, dimenticando di essere Lui e un giorno, trionfante,
 


  tornerà Lilith




N.B - LA PUBBLICAZIONE DI QUESTO TESTO NON HA SCOPO DI LUCRO
          L'UNICO SCOPO E' QUELLO DI FAR CONOSCERE UNA DELLE VOCI
          PIU' CORAGGIOSE DELLA LETTERATURA ARABA CONTEMPORANEA 
          AL FEMMINILE 

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