domenica 27 luglio 2014

Biografia di un arcangelo: Annemarie Schwarzenbach di Nadia Agustoni

Biografia di un "arcangelo": Annemarie Schwarzenbach di Nadia Agustoni




Un angelo inquietante, bello come un ragazzo secondo Klaus Mann, indimenticabile per chi la incontrò nella sua breve vita maledetta. O forse, semplicemente, Annemarie Schwarzenbach (1908-1942) fu una mente libera dilaniata da affetti contrapposti e amori impossibili. Scrittrice, viaggiatrice e giornalista, è stata a lungo dimenticata e poi riscoperta a metà anni Ottanta. Melania Mazzucco le ha dedicato una biografia romanzo edita da Rizzoli “Lei così amata” (2002) in cui tra l’altro la descrizione del viaggio in Congo di Schwarzenbach è un romanzo a sé con pagine bellissime.

“Ogni cosa è da lei illuminata” 2012, con postfazione di Alexis Schwarzenbach nipote della scrittrice svizzera, è un breve racconto su un incontro che cambia la vita della protagonista . In poche pagine c’è la scoperta dell’omosessualità, il tormento dell’amore che giunge inatteso e il senso di pericolo che una donna forte e misteriosa provoca in una più giovane e ancora incerta sui propri sentimenti.

Annemarie Schwarzenbach visse apertamente la propria diversità, contrastata dalla madre, fervente nazista, che osteggiava anche le amicizie ebree della figlia e quelle antifasciste con Erika e Klaus Mann. La ricchissima e conservatrice famiglia Schwarzenbach – il padre era un noto industriale tessile – simpatizzò sempre più, dall’ascesa di Hitler, per l’idea di una Germania ariana, dedita all’ordine e all’obbedienza. L’effetto di una figlia anticonformista non era certo un buon segno per chi chiedeva quantomeno discrezione, ma era ipocrisia, nel vivere affetti di cui si taceva ancora il nome. Annemarie, amata perdutamente da Carson McCullers, che la incontrerà in America e le dedicherà “Riflessi in un occhio d’oro”, viveva senza protezione la propria attrazione per le donne e si schierò coi Mann e coi perseguitati dal nazismo.

Il racconto, tradotto da Tina D’Agostini, è stato scoperto tra le carte di Annemarie Schwarzenbach dal nipote Alexis che nella postfazione dà conto delle scelte fatte nell’editing di queste poche pagine al cui centro vi è una passione improvvisa, un incontro casuale in una stazione sciistica alla moda, dove il bel mondo dell’epoca (siamo nel 1929) si dà appuntamento. Tra i riti mondani dell’aperitivo e quelli salutisti degli sport d’alta montagna la giovanissima protagonista conosce dubbio e tormento, sfida e sottile paura del rifiuto, fino ai paragrafi finali dove il proprio coraggio decide ogni cosa. Un lieto fine appena accennato, lasciato un po’ nel mistero, segna un momento comunque importante nella percezione di sé di Annemarie Schwarzenbach che scrisse questo frammento a soli 21 anni. E’ solo di un anno prima il tormentato romanzo di Radclyffe Hall “Il pozzo della solitudine”, in cui l’autrice inglese descrive la protagonista Stephen come un’invertita, una col marchio dell’infamia che deve rinunciare all’amore per non dannare l’amata. Le vicende giudiziarie del romanzo di Radclyffe Hall, con l’avvenuto sequestro delle copie libro, spinsero forse altre ad essere più caute. “Orlando” di Virginia Woolf saprà infilarsi tra la rete della censura e questo racconto di Schwarzenbach rimarrà inedito a lungo.

La scrittrice morì a soli 34 anni in Engadina, in seguito a una caduta dalla bicicletta. In quella parte della Svizzera, che lei chiamava casa, trovò rifugio nel poco tempo che le rimase tra un avventura e l’altra in vari continenti. Scampata ai pericoli e alle traversie di un viaggio dall’Europa all’Afghanistan e al viaggio solitario in Africa, rimase vittima di una piccola spavalderia: andare in bicicletta con le mani staccate dal manubrio su strade di montagna. Ricordandola, la fotografa Marianne Breslauer disse: “ se mi avessero detto che era l’arcangelo Gabriele e che mi trovavo davanti al paradiso, ci avrei creduto. Non sembrava né una donna né un uomo, ma un angelo, un arcangelo, così come io mi immagino un arcangelo”. Ella Maillart, la viaggiatrice che con Annemarie fu in Afghanistan e autrice della “Via crudele” resoconto di quel viaggio, parlò della sua tristezza e della dipendenza dalla droga, assimilandola alla “ tragica grandezza dell’androginia” .

Restano molte fotografie di Annemarie Schwarzenbach e in tutte appare nella sua bellezza che attirò l’ammirazione di chi la vedeva angelo o ragazzo. Non a caso ci ricorda i modelli che nelle riviste di moda ammiccano a una sessualità più aperta all’imprevisto o direttamente a una diversità orgogliosa. Oppure pensiamo a “Boys don’t cry” il film del 1999 con Hilary Swank a impersonare una giovanissima transgender.

La vita di Schwarzenbach è strettamente intrecciata alla sua opera, la biografia – amori, viaggi, scelte ideali, rifiuti, ecc. – riempie i suoi taccuini e spesso la scrittura è sovrastata da questo vissuto immedicabile.

Se non raggiunse i livelli di alcune scrittrici dell’epoca, come Woolf, Stein o Djuna Barnes, tuttavia, ha lasciato pagine importanti su tematiche controverse e sopratutto dei resoconti di viaggio in zone del mondo che sono da diversi decenni tra le più tormentate della storia.

Nadia Agustoni (blog CARTESENSIBILI)

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