martedì 24 giugno 2014

DELIRI di Arthur Rimbaud

PREMESSA

In questo testo abbiamo una trasposizione mitica del complesso e «satanico» rapporto che univa Rimbaud (lo sposo infernale) e Verlaine (la vergine folle) e l’esatta misura della patologica debolezza di Verlaine, del suo stato di dipendenza da questo diabolico adolescente, del disprezzo di Rimbaud per il suo compagno d’inferno, della violenza rabbiosa dei loro litigi e della tenerezza estatica delle riconciliazioni.

DELIRI di Arthur Rimbaud

I

____________________ Vergine folle

_______________________ Lo sposo infernale

Ascoltiamo la confessione di un compagno d’inferno: “O Sposo divino, mio Signore, non rifiutate la confessione della più umile delle vostre serve. Sono perduta. Sono ubriaca. Sono impura. Che vita!
“Perdono, divino Signore, perdono! Ah! perdono! Quante lacrime! E più tardi quante lacrime ancora, spero!
“Più tardi, conoscerò lo Sposo divino! Io sono nata sottomessa a Lui! – L’altro può pure picchiarmi, ora!
“Adesso io sono in fondo al mondo! O amiche mie!... no, non mie amiche.. Mai deliri né torture simili... Che cosa stupida!
“Ah! io soffro, io grido. Soffro veramente. Ma tutto mi è lecito, oppressa dal disprezzo dei più spregevoli cuori.
“Insomma facciamo questa confidenza, salvo a ripeterla altre venti volte, – altrettanto squallida, altrettanto insignificante!
“Sono schiava dello Sposo infernale, di colui che ha causato la perdita delle vergini folli. È proprio quel demonio. Non è uno spettro, non è un fantasma. Ma io che ho perduto la saggezza, che sono dannata e morta al mondo, – non sarò uccisa! Come descrivervelo? Non so nemmeno più parlare. Sono in lutto, piango, ho paura. Un po’ di refrigerio, Signore, per favore, ve ne supplico!
“Sono vedova... – Ero vedova... – ma sì, sono stata molto seria un tempo, e non sono nata per diventare scheletro!... – Lui era quasi un fanciullo... Le sue delicatezze misteriose mi avevano sedotta. Ho dimenticato ogni mio dovere umano per seguirlo. Che vita! La vera vita è assente. Noi non siamo al mondo. Vado dove lui va, è inevitabile. E spesso egli si infuria contro di me, contro di me, povera anima. Quel Demonio! – È un demonio, sapete, non è un uomo.
“Lui dice: ‘Io non amo le donne. L’amore è da riscoprire, si sa. Loro ormai possono volere solo una posizione assicurata. Conquistare la posizione, cuore e bellezza sono messi da parte: non resta che freddo disdegno, l’alimento dei matrimoni di oggi. Oppure vedo delle donne con i segni della felicità, delle quali, io, avrei potuto fare delle buone compagne, subito divorate da bruti sensibili come roghi...’
“Io l’ascolto mentre fa passare l’infamia per gloria, la crudeltà per incanto. ‘Io sono di una razza lontana: i miei padri erano Scandinavi: si trafiggevano il costato, bevevano il proprio sangue. – Mi farò dei tagli per tutto il corpo, farò dei tatuaggi, voglio diventare orrendo come un Mongolo: vedrai, urlerò per le strade. Voglio diventare veramente folle di rabbia. Non mostrarmi mai dei gioielli, striscerei e mi contorcerei sul tappeto. La mia ricchezza, la vorrei macchiata di sangue dappertutto. Non lavorerò mai...’ Più di una notte, quando il suo demone mi afferrava, ci rotolavamo, io lottavo con lui! – Spesso, la notte, ubriaco, si apposta per le strade o dentro le case, per spaventarmi mortalmente. – ‘Mi taglieranno il collo davvero; sarà disgustoso’. Oh! quei giorni in cui vuole camminare con l’aria del delitto!
Talvolta parla, con una sorta di tenero dialetto, della morte che spinge al pentimento, dei disgraziati che esistono sicuramente, dei lavori ingrati, delle partenze che straziano i cuori. Nelle bettole, in cui ci ubriacavamo, piangeva osservando quelli che ci stavano intorno, miserevole bestiame. Rialzava gli ubriachi nelle strade nere. Per i bambini piccoli, aveva la pietà di una madre cattiva. – Se ne andava in giro con la grazia di una ragazzina al catechismo. – Fingeva di essere al corrente di tutto, commercio, arte, medicina. – Io lo seguivo, è inevitabile!
“Vedevo tutto lo scenario di cui, mentalmente, si circonda; abiti, drappi, mobili: gli attribuivo delle armi, un altro aspetto. Vedevo tutto ciò che lo colpiva come avrebbe voluto ricrearlo per sé. Quando mi sembrava che avesse lo spirito inerte, io lo seguivo, lontano, in azioni strane e complicate, buone o cattive: ero sicura di non poter entrare mai nel suo mondo. Quante ore ho vegliato vicino al suo caro corpo addormentato, cercando di capire perché volesse tanto evadere dalla realtà. Nessun uomo mai ebbe simile desiderio. Riconoscevo, – senza temere per lui, – che poteva rappresentare un serio pericolo per la società. – Ha forse dei segreti per cambiare la vita? No, non fa che cercarne, mi rispondevo. Inoltre, la sua carità è stregata ed io ne sono prigioniera. Nessun’altra anima avrebbe abbastanza forza, – forza della disperazione! – per sopportarla, – per essere amata e protetta da lui. D’altronde, non potevo immaginarlo con un’altra anima: si vede il proprio Angelo, mai l’Angelo di un altro, – credo. Stavo nella sua anima come in un palazzo che sia stato svuotato per non vedere un’altra persona poco nobile come te: ecco tutto. Ahimè! dipendevo completamente da lui! Ma che cosa voleva fare della mia squallida e vile esistenza? Non mi rendeva migliore se non mi faceva morire! Tristemente indispettita, gli dissi qualche volta: ‘Ti capisco’. Lui alzava le spalle.
“Così, dal momento che il mio tormento si rinnovava continuamente e che apparivo sempre più smarrita ai miei occhi, – come a tutti gli occhi che avessero voluto fissarmi, se non fossi stata condannata per sempre alla dimenticanza di tutti! – avevo sempre più fame della sua bontà. Con i suoi baci e i suoi abbracci amici, era davvero un cielo, un cielo cupo, quello in cui io entravo e dove avrei voluto essere lasciata, povera, sorda, muta, cieca. Ne stavo già prendendo l’abitudine. Vedevo me e lui come due bambini buoni, liberi di passeggiare nel Paradiso di tristezza. Andavamo d’accordo. Commossi, lavoravamo insieme. Ma, dopo una carezza penetrante, lui diceva: ‘Come ti sembrerà strano, quando io non ci sarò più, quello che hai passato. Quando non avrai più le mie braccia attorno al collo, né il mio cuore per riposarti, né queste labbra sui tuoi occhi. Perché bisognerà pure che me ne vada molto lontano, un giorno. Poi, bisogna che ne aiuti delle altre: è mio dovere. Per quanto non sia molto allettante..., cara anima...’ Di colpo, mi immaginavo, dopo la sua partenza, in preda alle vertigini, precipitata nell’ombra più orribile: la morte. Gli facevo promettere che non mi avrebbe lasciata. Almeno venti volte ha fatto questa promessa d’amante. Era frivolo almeno quanto me che gli dicevo: ‘Ti capisco’.
“Ah! non sono mai stata gelosa di lui. Non mi lascerà, credo. Non ha nessuna conoscenza, non lavorerà mai. Vuole vivere da sonnambulo. La sua bontà e la sua carità potrebbero dargli, da sole, diritto al mondo reale? In certi momenti, dimentico la miseria in cui sono caduta: lui mi renderà forte, viaggeremo, cacceremo nei deserti, dormiremo sul selciato di città sconosciute, senza pensieri, senza pene. Oppure mi risveglierò, e le leggi e i costumi saranno cambiati, – grazie al suo potere magico, – il mondo, pur restando lo stesso, mi lascerà ai miei desideri, alle mie gioie, alle mie indolenze. Oh! per ricompensarmi, ho tanto sofferto, mi darai la vita d’avventure che esiste nei libri per bambini? Non può. Ignoro il suo ideale. Mi ha detto di avere dei rimpianti, delle speranze: questo non deve riguardarmi. Parla con Dio? Forse dovrei rivolgermi a Dio. Sono nel più profondo dell’abisso e non so più pregare.
“Se mi parlasse delle sue tristezze, le capirei più dei suoi scherni? Si scaglia contro di me, passa delle ore a farmi vergognare di tutto ciò che ha potuto commuovermi al mondo, e si sdegna se piango.
“‘Vedi quell’elegante giovanotto che entra nella bella casa tranquilla? Si chiama Duval, Dufour, Armand, Maurice, o che so io? Una donna s’è consacrata ad amare quel malvagio idiota: è morta, è certamente una santa in cielo, adesso. Tu mi farai morire come lui ha fatto morire questa donna. È la sorte che tocca a noi, cuori caritatevoli...’ Ahimè! c’erano dei giorni in cui tutti gli uomini in azione gli sembravano zimbelli di deliri grotteschi: rideva a lungo, spaventosamente. – Poi, riprendeva i suoi modi da giovane madre, da sorella amata. Se fosse meno selvaggio, saremmo salvi! Ma anche la sua dolcezza è mortale. Gli sono sottomessa. – Ah! sono pazza!
“Un giorno forse sparirà in modo meraviglioso; ma bisogna che io sappia, se deve salire ad un cielo, che io veda un po’ l’assunzione del mio piccolo amico!”
Strana coppia!

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