giovedì 18 settembre 2014

Da I CENTO LIBRI che rendono più ricca la nostra vita di PIERO DORFLES

Da I CENTO LIBRI che rendono più ricca la nostra vita
di PIERO DORFLES

________ PREMESSA DELL'AUTORE

Ho ordinato per raggruppamenti tematici i cento libri che fanno parte dell’elenco (che è anche il sommario del volume). Un elenco che ho stilato in seguito all’invito di molti radioascoltatori e telespettatori – soprattutto insegnanti – che hanno seguito le trasmissioni sui libri alle quali ho partecipato nel corso degli anni e mi hanno chiesto quali sono quelli che non si può non aver letto.
Non si tratta di un «canone» personale; non ho preteso cioè di stabilire quali sono, per me, i libri più importanti della storia della letteratura. Non ho la presunzione di essere in grado di fare una scelta di tale portata. Né è un elenco completo dei libri che vale davvero la pena leggere, perché da un lato ho omesso quelli che quasi tutti leggono a scuola e quindi fanno già parte di un patrimonio letterario da tutti riconosciuto, dall’Iliade ai Promessi sposi, dall’Eneide ai Malavoglia e al Don Chisciotte; e dall’altro ho limitato gli autori viventi a quelli che il tempo e la fama hanno consacrato oggettivamente come dei classici. Si tratta piuttosto della personalissima e discutibilissima selezione dei cento libri che oggi, in Italia, a mio avviso, è bene aver letto perché sono entrati a far parte dell’immaginario letterario collettivo; quelli che permettono di stabilire un contatto con gli altri lettori perché rappresentano un patrimonio comune ineludibile. Sono quei libri che – alle volte al di là del loro effettivo valore letterario – potete sentir citare in un discorso, in un saggio, in una chiacchiera da bar, in un articolo, e che possono essere necessari per capire di cosa si sta parlando. So di aver fatto una scelta soggettiva, che si tratta di un esercizio imperfetto e contestabile; ma spero lo stesso che abbia una sua utilità. E spero mi si perdonerà l’ardire, perché chiunque stili un elenco compie una scelta che sfiora la presunzione. Che mi si perdonerà anche l’imprecisione, visto che i titoli sono 101, perché ho aggiunto, ai libri citati, un racconto. E spero mi si perdoneranno anche i raggruppamenti tematici, che sono per forza di cose arbitrari: ogni buon libro parla tanto dell’avventura che dell’io, della ragione e del desiderio, della formazione e della solitudine. Ma un ordine ci voleva, e ho cercato quelli che mi sono parsi i temi dominanti. Tutto qui.
Immagino che, tra i miei quindici lettori, ci sarà subito chi obietterà: ma non c’è Faulkner, non c’è Verga, non c’è McEwan. Sì, è vero, e probabilmente sono io che sbaglio. Ma il fatto è che di questi autori, al bar, di solito non si parla.

________ (Incipit) L’UTOPIA NEGATA

L’utopia, lo dice l’etimologia della parola, è un luogo, un paese, qualcosa che non esiste. I grandi racconti utopistici, dall’antichità a oggi, hanno rappresentato mondi e società perfetti, che infatti non hanno riscontro nella realtà. Nell’ultimo secolo, e ancora oggi, si è affermato invece un genere letterario che descrive utopie negative, distopie, mondi che vorrebbero essere perfetti, ma rappresentano la peggiore degenerazione dello stato etico e dei totalitarismi più brutali.
C’è da chiedersi perché alcuni tra i più importanti libri del Novecento che descrivono utopie negative prendano ferocemente di mira la degenerazione comunista piuttosto che i totalitarismi fascisti. Il fatto è che i princìpi su cui si fondano i fascismi, dietro una verniciatura di modernismo e di populismo, sono quelli dell’intolleranza, del razzismo, del machismo e del bellicismo. Mentre quelli del comunismo sono quelli della tolleranza, dell’egualitarismo e della solidarietà sociale. I fascismi, in fondo, hanno tradito solo la loro aspirazione all’efficientismo e alla modernizzazione, mentre i regimi comunisti hanno tradito il senso profondo di un’aspirazione umanitaria alla giustizia sociale. Ecco perché quello è il quadro in cui si ambientano i più significativi racconti distopici, o antiutopistici. Quelli che, ricordando che le utopie positive sono per definizione irrealizzabili, ci mettono in guardia dalla tragica degenerazione che ha caratterizzato la storia di tutte le utopie, fasciste e comuniste.

(f.g)


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