da LA CASA DELL'INCESTO di Anais Nin
Adesso guardavamo tutti la danzatrice che nel centro della stanza danzava la danza della donna senza braccia. Danzava come se fosse sorda e non potesse seguire il ritmo della musica. Danzava come se non udisse il suono delle sue nacchere. La sua danza era isolata e separata dalla musica e da noi e dalla stanza e dalla vita. Le nacchere avevano il suono dei passi di un fantasma.
Danzava, rideva e sospirava e respirava per se stessa. Danzava le sue paure, fermandosi nel mezzo di ogni stanza ad ascoltare i rimproveri che noi non potevamo sentire, o si inchinava a un applauso che non facevamo. Ascoltava una musica che non potevamo sentire, mossa da allucinazioni che non potevamo vedere.
Mi hanno strappato le braccia, cantava. Sono stata punita del mio avvinghiarmi. Mi avvinghiavo. Mi sono aggrappata a tutti coloro che ho amato, mi sono aggrappata ai momenti felici della vita, le mie mani si sono chiuse su ogni ora perfetta. Le mie braccia si sono strette desiderando l'abbraccio. Volevo abbracciare e possedere la luce, il vento, il sole, la notte, il mondo intero. Volevo accarezzare, guarire, vibrare, cullare, circondare, rinchiudere. E stringevo e trattenevo tanto da rompere tutto. Ogni cosa mi è sfuggita a quel punto. Fui condannata a non tenere più niente.
(f.g)
«Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati» «Dove andiamo?» «Non lo so, ma dobbiamo andare» Jack Kerouac
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