martedì 24 giugno 2014

GEORGE STEINER da Morte della tragedia

GEORGE STEINER da Morte della tragedia

(dal sito FILI D'AQUILONE)

Le ultime pagine di questa cavalcata di Steiner, esemplare per modalità stilistiche e acume critico, nelle grandi epoche del tragico da Shakespeare al dramma borghese, si concludono con un capitolo brevissimo, veramente memorabile per chi non consideri lo studio della letteratura puro esercizio formale. Dio si è allontanato dall’uomo e piange solitario in una sperduta baracca il suo dolore per la ferocia a cui ha dovuto assistere: in questo contesto di rovina, Steiner indica tre ipotesi per provare ad accennare delle risposte al quesito del titolo: è morta la tragedia?
Nella solitudine e nel silenzio del vecchio perdura un’atmosfera apocalittica con il diavolo che fa proseliti e gli uomini consegnati alla tenebre: quando Cristo tornerà sulla terra troverà ancora la fede?
I ricchi anonimi e storditi si sottopongono all’operazione senza narcosi di Emmenberger, perché quel medico gli offre una morte sontuosa, in cui ancora si possano distinguere dai poveri:

"Hanno abbandonato dio e ne hanno trovato un altro. I malati si sottopongono volontariamente alla tortura, entusiasti del loro chirurgo, soltanto per continuare a vivere ancora qualche giorno, qualche minuto, per non doversi separare da ciò che amano più dell’inferno e dal paradiso, più della beatitudine e della dannazione: per non doversi separare dalla potenza e da quel mondo che l’ha concessa"

(f.g)

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