martedì 6 ottobre 2015

UN GIORNO A BARBARANO di Patrizia Elia

UN GIORNO A BARBARANO di Patrizia Elia

I nomi dei protagonisti sono del tutto casuali. La descrizione di Palazzo Serafini corrisponde piuttosto alla casa di Ipazio Elia. E per il resto é stato con immenso affetto che ho ambientato la storia a Barbarano, il paese dei miei nonni e di mio padre. Patrizia Elia

La lama netta e precisa della luce d’agosto divideva in parti uguali il cortile di palazzo Serafini.
Gli elettricisti e gli operai del comune erano in effervescenza , sulla piazza antistante, per montare le luminarie della festa del Patrono, San Lorenzo. 



Architetture geometriche con rosoni tematici, volte e gallerie luminose avrebbero, per alcune sere, messo nuovamente in gara la nostra piccola frazione di Barbarano con la festa patronale di
Ruggiano… Da decenni le due parti si dichiaravano un’allegra guerra estiva a suon di bande e orchestre comunali, di migliaia di luci intermittenti, di vecchie glorie della canzone italiana e di venditori di scapece.
La piazza si animava sotto lo sguardo attento dei vecchi che, seduti al bar, per quel giorno avevano lasciato sui tavolini coperti da tovaglie cerate, i gonfi mazzi di carte napoletane e ricordavano quando loro stessi montavano quei strani castelli fatti di mille luci, arrampicandosi sui pali come acrobati da circo.
Assunta Profico Degiorgi mi aveva fatto chiamare la mattina stessa, per affidarmi un incarico. Essendo più o meno imparentato con lei, avevo comunque l’intenzione di recarmi a Palazzo Serafini per assicurarmi della sua salute. Infatti , alcuni giorni prima era caduta dalle scale, in casa, e ciò aveva messo in allerta le 932 anime del paese.
Comunque... se l’era cavata bene, non si era rotta niente. Aveva un grosso ematoma sulla nuca, ed era miracolosamente fuori pericolo. Piccolo bemolle probabilmente passeggero : non riusciva a ricordare quanto fosse successo.
I Profico Degiorgi erano i proprietari del calzaturificio omonimo, che da anni impiegava decine di famiglie della zona, sia a domicilio che in fabbrica.
Di certo, più che di consueto, nei prossimi giorni di festa, Assunta avrebbe ricevuto una vera e propria processione di compaesani venuti per renderle omaggio, ma anche per curiosare a proposito del suo stato e poi “fare chiacchiere”. Era stato in questo modo che fin dalla sera della caduta accidentale, questa era diventata, di bocca in bocca, sempre più spettacolare ed anche miracolosa. 
C’era chi addirittura andava dicendo che fosse stato il giovane Alberto Ludovisi ad averle dato una leggera spintarella. Tutta Barbarano sapeva che tra lui e la sua datrice di lavoro non correva oramai buon sangue. 
Sinceramente per me non quadrava, infatti da quanto avevo appreso era stato proprio il Ludovisi a chiamare i soccorsi e, vedendo che non arrivavano, aveva accompagnato lui stesso la signora al pronto soccorso di Gagliano del Capo. 
Fin da piccolo, Palazzo Serafini suscitava in me una grande impressione, forse per la sua altezza ( era l’unico in paese che arrivasse a 3 piani) o forse per la sua scala monumentale. 
L’entrata ad arco del cortile del palazzo era grande abbastanza da farci passare due carrozze contemporaneamente. Al di là di un lastricato bianco si aprivano come braccia accoglienti, due rampe di scale a semicerchio. Esse si ricongiungevano poi ad un parapetto in ferro battuto al primo piano, davanti ad una porta con tanto di stemma sulla chiave di volta.
Da quel parapetto, usato come una finestra papale, si usava, in passato, distribuire giornate di lavoro ai contadini, i quali, venivano scelti a lavorare solo se godevano del favore della famiglia. Nel caso contrario, cioè se venivano ignorati dai Signori, subivano in collettiva tacita intesa, l’indifferenza omertosa di tutti i Barbaranesi.
Per decenni, dal buon volere di quel palazzo, era dipesa la sopravvivenza (economica) di intere famiglie.
Molti, in quel cortile, i padri di famiglia, che nel dopoguerra, avevano preso la decisione di preparare una valigia di cartone e, da emigranti, tentare fortuna altrove.
Comunque, quella mattina, avendo oltrepassato la frenetica piazza in trasformazione, il cortile del palazzo, all'ombra delle proprie mura, appariva calmo e fresco.
Cosimina, arzilla domestica sessantenne di Assunta Degiorgi mi faceva segno d’accomodarmi all'interno. Assunta arrivò nel vano d’entrata appena le fui annunciato. Aveva una benda intorno alla fronte, ma lo sguardo era vivo e i gesti decisi e rapidi, come sempre.
Aveva cinquanta o poco più. Era una donna alta, ma minuta. Elegante, non vistosa. Il suo sguardo ed il suo portamento incutevano rispetto. La bocca sorrideva di rado. Se il suo linguaggio era asciutto e chiaro in ambito professionale, in casa usava spesso il dialetto, il nostro, ma forzato dal suo accento brindisino, che rivelava le sue origini medio-borghesi.
Assunta chiese a Cosimina di preparare un caffè e di portarcelo. Mentre mi faceva accomodare sulle poltroncine accanto alla finestra che dava sull'atrio mi chiese come stavano i miei e poi, una volta servito il caffè, arrivò al dunque.
Le sue parole furono senza sorpresa. Assunta è intelligente, arguta e sveglia. Mi stava rivelando i suoi sospetti sulla sua futura nuora Giusy Ventura. Sembrava infatti che avesse una relazione con Alberto Ludovisi e voleva che io lo accertassi . Il Ludovisi era tra l’altro un impiegato dell’ ufficio contabile della ditta. Fin qui aveva goduto della stima di Assunta. Ma ora, descrivendomelo lei ripeteva in collera « L’ho tenuto come un figlio. E mò mi fa questo al mio proprio figlio, al sangue del mio sangue !!! »
Il sangue del suo sangue, portava lo spurchiato (sfortunato) nome di Annibale, come il nonno del defunto marito. E, al contrario dell’avvenente, serio, e talentuoso Ludovisi, Annibale, era da sempre la barzelletta del paese .
Ovviamente la madre copriva le sue gaffes, lo appoggiava e lo aiutava, nascondendo da sempre le sue inettitudini e stupidaggini. Lo faceva in quanto madre, ma anche da donna d’affari. Infatti non poteva permettere che la propria attendibilità, e soprattutto quella dell’azienda del defunto marito, venisse messa alla prova dalle cazzate perpetrate ad oltranza da un figlio sconsiderato.
Quindi era capitato che dopo un paio di minchiate da far dimenticare, Annibale, trascorresse, un periodo di “vacanza” presso alcuni amici al nord, o addirittura all'estero. Tentativi sterili ed inutili, in un paese dove la parola di una comare conta anche di più di quella di un ufficiale.
Assunta, che sapeva l’importanza di una buona reputazione, poteva quindi benissimo immaginare le conseguenze vergognose se la gente avesse saputo che il figlio deficiente e sprovveduto fosse per di più anche cornuto.
La mia missione sarebbe stata di sorvegliare la futura nuora ed il suo probabile amante, il Ludovisi e di riferirle ogni fatto affinché potesse lei fare quel che s’ha da fa’ !
“E dove sta Annibale adesso?” Le chiesi. “Eh! Uccio caro, Annibale non sta qua, se ne è andato a Las Vegas con certi amici francesi per fare una festa tra di loro prima del matrimonio! Eh..... lo so che qua non é usanza nostra, e mo?! Fazza Diu ! Speriamo che non faccia niente di male” mi rispose con un’aria rassegnata.
“E la fidanzata come ha preso il fatto di questo viaggio con gli amici?” “Quiddha?! Contentissima! Quando il gatto non c'è i topi ballaaanooo” !!!
Mi stava appunto dicendo queste parole quando un addetto agli allestimenti della festa s’è messo ad urlare come un pazzo in piazza.
Uscimmo tutti, una folla si addensò rapidamente sotto il disgraziato cercando di capire se si fosse fatto male cadendo o se avesse preso la corrente.
Quello stava seduto a cavalcioni su un architrave a 5 metri dal suolo proprio di fronte al Palazzo, teneva la bocca spalancata ed ansimava senza più poter concepire un solo suono udibile e comprensibile. 
Esterrefatto indicava con l’indice,tremando, una delle finestre del palazzo, senza riuscire a parlare!…E noi, la folla intera tutti lì di sotto ad aspettare tesi in un silenzio sospeso un urlo agghiacciante : « L’HANNU CCISU ! L’HANNU CCISU!!! » 
La stanza che serviva da ufficio al Dottor Perdicchia era chiusa. E’ bastata una spallata per sfondarla, ma non c’era più nessuna ragione d’aver fretta: il Dottor Perdicchia giaceva in bagno di sangue. L’emorragia aveva maculato la scrivania, i documenti, la sua sedia e finanche le pareti bianche. 
Una fiocina da pesca subacquea era ancora infilzata nella gola. Una delle punte l’aveva attraversata andando a conficcarsi nella scrivania.
Durante la mia carriera d’investigatore privato non avevo mai assistito ad una scena criminale di questo tipo. Fin qui mi era stata affidata qualche filatura, ascolti telefonici, noiosissime collette d’informazioni da verificare, fotografie rubate e indagini lunghe e monotone, ma una cosa del genere non l’avrei mai immaginata.
Ero stato il primo a penetrare sulla scena del delitto. Appoggiandomi al mio grado d’investigatore, avevo immediatamente impedito ad altri d’oltrepassare la porta, al fine di proteggere la zona e farne rilevare le impronte e tutto il resto. appena la polizia fosse arrivata.
Era evidente che Perdicchia, amministratore delegato della ditta era morto già da alcune ore. Aspettavo i rinforzi e l’arrivo del medico legale scattando alcune foto della scena col mio cellulare. Giravo intorno al morto, evitando le pozze di sangue, con una curiosità morbosa che di me non conoscevo, assaporando in un certo senso, ogni dettaglio. 
L’ufficio era arredato con anche troppa semplicità. Oltre alla sua scrivania e poltrona c’erano un paio di scaffali alti: l’uno con schedari e libri contabili e l’altro, dietro di lui, aperto, esponeva piccole anfore, suppellettili con incrostazioni marine, stallatiti e conchiglie, le sue vecchie fiocine ed altri attrezzi da sub.
Conoscevo Petro Perdicchia di vista e di reputazione. Persona integerrima, onesta, gran lavoratore, ma che si poteva anche incontrare al bar con i vecchi del paese per una partita a briscola ed un bicchiere di vino. Aveva la cinquantina o poco più e la portava bene, beh diciamo che la portava bene fino alla vigilia della morte!
Era di statura media e di corpulenza sportiva. Al fine settimana, in inverno, lo si incontrava spesso a correre sulla litoranea, mentre l’estate, si dedicava ad un altra passione, appunto la pesca subacquea. Contrariamente alla maggioranza degli uomini di mezz'età dalle parti nostre (me compreso) non era calvo, anzi aveva i capelli ancora neri, ondulati e li portava pettinati all'indietro. I suoi baffi erano leggendari.... Quando la gente, parlava di lui, non lo nominava nemmeno, bastava riprodurre il gesto di chi si arrotola il baffo verso l’alto. Da anni portava il nomignolo di Dalì e lui se ne divertiva volentieri. 
Pensavo ai suoi baffi quando mi accorsi che erano stati tagliati di netto. Guardando con più attenzione gli oggetti della scrivania vidi, più un là, su alcuni documenti bagnati di sangue, le forbici e fra le lame, un baffo.
Arrivarono contemporaneamente il commissario Ponzetta, amico e collega che conoscevo da sempre ed il Dottor Pellegrini, il quale di sicuro non si sarebbe mai aspettato nella sua carriera fatta di pasticche per raffreddori, contusioni, otiti e spine di ricci conficcate trai i piedi di dover ufficializzare il decesso di un morto ammazzato dalla propria fiocina.
-Drammaticamente scoprii in quel frangente che il Dottor Pellegrini era stato il miglior amico della vittima-
Purtroppo il caso volle che fosse l’unico medico disponibile in zona per constatare e dichiarare ufficialmente la morte della vittima e quindi poter dare il via alle indagini.
Quando Ponzetta autorizzò che si aprisse l’unica finestra della stanza affinché si potesse dare un ricambio d’aria, si sentì un ululato da sciacalli provenire da fuori. Un gruppo di stronzi si era pericolosamente "ingrappolato" sulle transenne ed i pali delle luminarie aspettando cosa? Che si aprisse il sipario !!!
Disgustato dal comportamento osceno dei miei propri compaesani richiusi la persiana in un batter d’occhio urlando tutta la mia rabbia. “ Ma siti scemi? SCINNITI! Ca cci ggé? Filmi? Cazzo!” Ogni morte merita rispetto!
Intanto sotto le finestre, un’ambulanza s’allontanava con le sirene spiegate. Stavano riaccompagnando Assunta in ospedale, la quale, alla scoperta del cadavere, si era sentita male.
Quel pomeriggio sono rimasto al Noche de Oro, e cioè a casa mia!
Noche de Oro era stato il B&B di Capilungo che avevo ricomprato ad una cara amica, Francesca, partita dal Salento per vivere una vita migliore con l’uomo di cui s’era innamorata.
Quella casa di due piani, piano terra per i turisti e primo piano per il proprietario, era il mio bene più prezioso, il mio rifugio.
L’anima di Francesca era rimasta viva nel profumo del vento marino, tra quelle mura dipinte nella calce con tutta la sua fantasia.
Dopo la sua partenza avevo riposto le sue cose al piano di sotto ed io avevo occupato quello superiore. Il B&B, senza il suo sorriso e la sua ospitalità, non aveva più senso. Ero quindi da un paio d’anni il solo occupante del Noche de Oro.
Costruita « alla ripa de mare », dalla casa bastavano 10 dei miei passi per raggiungere la riva. Anche ad agosto, in pieno periodo turistico, quella cricca di roccia aspra e nera, sembrava esistere solo per me.. La scoscesa stradina d’accesso, conosciuta solo dai pochi abitanti di Capilungo, pur senza privatizzare i luoghi, li rendeva segreti. Quel mare paradisiaco, di un colore smeraldo puro, vivido e trasparente sapeva sempre ridarmi calma e serenità.
Il terrazzo era ombreggiato da lunghi teli di lino che Francesca aveva teso su una pergola grande quanto il terrazzo stesso. Le vozze, enormi vasi di terracotta o di ceramica tutt'intorno, un tempo usate per conservare le frise ed i biscotti secchi, servivano da vasi per aloe e varie piante aromatiche che testarde resistevano alla mia noncuranza.
Feci un caffè e mi misi sdraiato all'ombra. Il profumo di timo selvatico si mescolava all'odore del mare. Eppure non riuscivo a non pensarci....
Aspettando che Ponzetta mi chiamasse per la deposizione, riflettevo agli scioccanti avvenimenti della mattinata, provando ad analizzare obiettivamente ogni dettaglio. 
Perdicchia era l’amministratore delegato della Degiorgi & Co... Una ditta tenuta con mano di ferro da Assunta fin dalla morte precoce del marito.
Assunta si era guadagnata l’ammirazione del paese, quando da giovanissima vedova aveva ripreso le redini dell’azienda familiare, facendo allo stesso tempo da madre e da padre ad Annibale, dispettoso da bambino, irrequieto da adolescente, incontenibile da adulto.
La Degiorgi era si, un calzaturificio, unica azienda non fittizia di questa parte dimenticata del Salento, ed era anche alcuni punti vendita: le “Boutiques Degiorgi”.
La ditta gestiva il lavoro di numerose collaboratrici a domicilio desiderose di arrotondare le irregolari entrate dei mariti, per lo più contadini. Queste cucivano in casa , mocassini di cuoio a forza di olio di gomito. Malgrado il ridicolo guadagno,le mamme-lavoratrici erano grate per quest’ impiego che permetteva loro di gestire al contempo la casa e la famiglia.
Chi poteva volerne al Perdicchia ? Aveva contribuito non poco alla crescita della Degiorgi, ed aveva la reputazione di onest'uomo. Non gli si conosceva nessun nemico. Era rispettato per il suo lavoro, amato per la sua disponibilità e la sua vena umoristica.
Eppure non sapevo nulla del suo passato, mi rodeva di non poter investigare. Purtroppo ormai era compito esclusivo della polizia!
Lo squillo del telefono interruppe i miei pensieri… mi aspettavo la chiamata di Ponzetta... era invece il prefetto di Lecce, la Dottoressa Latorre. Aveva appreso da Ponzetta della tragica morte di Perdicchia avvenuta nel suo ufficio e del fatto che io fossi presente sui luoghi al momento del ritrovamento del cadavere. Ovviamente, non potendo interferire nelle indagini, non mi chiese nulla “direttamente”, ma mi fece capire che se Ponzetta m’avesse chiesto aiuto nell'investigazione lei non si sarebbe opposta.
Guarda caso, pochi minuti dopo, Ponzetta, mi attendeva in questura per la deposizione... ma anche per chiedermi di dargli una mano (ma vedi un po che coincidenza ! ). 
Erano già passati alcuni giorni dai fatti e i quotidiani locali, stanchi di trattare delle precedenti questioni e polemiche che da mesi occupavano le testate, ossia la Xylella e lo scandalo delle immondizie sulla superstrada, non demordevano più da questo fatto di cronaca nera assolutamente insolito da queste parti.
Il Salento è una zona tranquilla. Da anni ormai La Sacra Corona Unita non fa più esplodere i negozietti di chi non paga il pizzo e, a parte mazzette, raccomandazioni, appalti poco onesti, abusi edilizi, lavoro in nero e qualche imbroglio amministrativo (che non rendono la regione diversa dalle altre ), si vive sereni, in pace con Dio, in pace con gli uomini.
Straordinaria tranquillità brutalmente interrotta da un dramma crudo, sanguinoso che aveva lasciato l’opinione pubblica intrisa di morbosa curiosità rispetto agli annessi e connessi all'omicidio.
Intanto avevo appreso da Ponzetta il risultato della diagnosi fatta dal medico legale di Lecce.
Il Dott. Perdicchia era stato dapprima colpito, da seduto, da un oggetto pesante alla testa. Sul cuoio capelluto erano stati ritrovati granelli di tufo e pietra. Svenuto, era stato infilzato, a mano, con una fiocina da fucile subacqueo. Questa aveva attraversato la carotide et la trachea provocando un'emorragia forte ed immediata. A parte la contusione all'osso occipitale e la ferita mortale provocata dalla fiocina, non c’era sul corpo di Perdicchia, alcuna traccia di lotta e nessun segno evidente di tentativo di difesa.
Le conclusioni del referto, aggiunte al fatto che sui luoghi non fosse stato trovato alcun segno d’effrazione, precedente alla mia, lasciava supporre che Perdicchia conoscesse il proprio assassino. 
Ponzetta mi confidò il nome del colpevole da lui presupposto, compatibile a suo dire, con l’opinione pubblica : Alberto Ludovisi. 
“Ma perché?” gli chiesi. Mi spiegò che tra le carte macchiate di sangue, la polizia aveva trovato i documenti da firmare, utili al licenziamento del Ludovisi. Per di più, dal giorno dell omicidio, il Ludovisi era sparito!
Di nuovo a me non quadrava per niente ! Dico io: se fosse stato lui l’assassino e se il licenziamento fosse stato il movente, prima o dopo l’omicidio avrebbe dovuto impadronirsi di quei documenti, no? O allora questo Ludovisi é proprio scemo? 
Autorizzato ufficiosamente dal commissario Ponzetta, decisi di prendere qualche iniziativa: un appuntamento col Dottor Pellegrini, il medico e migliore amico della vittima e poi con Assunta Degiorgi, ormai tornata a palazzo Serafini dopo il secondo soggiorno in ospedale.
Pellegrini era affranto. Malgrado la sua professione richiedesse uno sguardo stoico sulle brutture della malattia e della morte, la vista del suo migliore amico appeso ad una fiocina lo aveva sconvolto. 
Al cellulare mi aveva spiegato che non lo avrei trovato in casa sua in quanto, durante un paio di mesi, in un certo senso « alloggiava » a Santa Maria di Leuca alla Villa Mellacqua.
Una conoscenza gli aveva chiesto di occupare la villa durante una sua assenza, in modo che sembrasse abitata e che questo scoraggiasse i ladri eventuali.
Villa Mellacqua era una delle tante dimore ottocentesche di Leuca, rivaleggianti tra loro per originalità, splendore e grandezza, commissionate per i Signori dell’entroterra. Come le altre, godeva di una vista eccezionale sulla costa. 
Avevano avuto una gran storia quelle ville: dopo aver divertito per decenni la nobiltà meridionale, durante la Guerra avevano servito da alloggio provvisorio a sfollati ed ebrei. Spogliate delle ringhiere, cancelli ed ogni appalto metallico, sequestrati per la costruzione di armi, avevano poi subito ondate di saccheggi e vandalismi.
Vestigia di un glorioso tempo passato, venivano ora riacquistate da privati per essere trasformate e riproposte con gran successo in chiave turistica.
Ne avevo visitate ben poche e la villa stessa mi incuriosiva, quanto la storia che Pellegrini stava per raccontarmi.
Il medico mi accolse nel grande giardino della villa, all'ombra dei suoi quattro torrioni. Dopo avermi offerto un caffè cominciò spontaneamente a raccontarmi di Dalì, della loro amicizia fin dai tempi dell università, delle girate in vespa e della passione comune: le discese in mare per la pesca e la fotografia subacquea. Scoprì in quell'occasione, la passione particolare di Pellegrini per le monumentali grotte marine della costa ionica.
Nessuno dei due si era mai sposato. Pellegrini mi confidò aver perso qualche bella occasione a causa dei lunghi anni di studio di medicina, allorché Dalì che in fatto di donne non era un santo, per sposarsi aspettava quella perfetta.
Sorridendo nostalgicamente lo sguardo del medico s’abbassò e mormorò «proprio adesso che l’aveva trovata»
Non potevo lasciare quella frase buttata lì… sentivo che dovevo chiedere spiegazioni e mi rispose :“Mi aveva detto, una settimana fa, che stava per tagliarsi il baffo” ; “Cioè ?” ; “Dalì portava il baffo lungo fin dalla Laurea, diceva che lo avrebbe tenuto fino a quando non avesse incontrato la perfetta” . “E non le ha detto altro ?” “No, ma mi aveva promesso che sarei stato il secondo, dopo la signora in questione, ad essere informato”.
Sentivo che tutta questa storia poteva essere un elemento del puzzle…
Avevo appuntamento con Assunta Degiorgi verso le 18. Di solito a quell'ora, nei caldi pomeriggi estivi la gente si risveglia appena dalla sua siesta pomeridiana. Ma eravamo al 10 d’Agosto e la festa di San Lorenzo scombussolava il tran-tran quotidiano dei Barbaranesi.
Preceduta dalla banda, la processione del Santo già sfilava dalla Chiesa verso la piazza del paese, da dove, da lì a qualche minuto, anche se in pieno giorno, si sarebbero sparati in aria i fuochi d’artificio in onore del protettore di Barbarano.
A palazzo Serafini la Cosimina era affacciata ad una delle finestre del primo piano. Aspettava l’arrivo della processione. Tra l’altro come da tradizione, il parroco avrebbe benedetto il palazzo.
La Cosimina, quasi urlando dalla sua postazione, a causa della musica della banda in arrivo, mi spiegò che Assunta aveva preso la borsa ed era uscita di casa. Le chiesi come stava e mi rispose che la signora, dopo il suo secondo ricovero, piangeva ed urlava accusando dolori lancinanti alla testa. Aveva quindi pensato di allontanarsi un po mentre si facevano scoppiare i fuochi. La Cosimina, mi fece cenno di averla vista andare a piedi verso la chiesetta di Leuca Piccola.
« E l’avete lasciata da sola ? La signora é appena uscita dall'ospedale! Doveva essere accompagnata » gridavo a mia volta, sorpreso di tanta indifferenza.
« E che è ? La comando io ?” S’indignò la Cosimina giungendo a punta le dita di ogni mano in quel tipico gesto di domanda di noi meridionali e corrugando la fronte tra le ispide sopracciglia scure.
« La padrona é Lei ( la Signora )! Lo sanno tutti che quando quella decide una cosa non c'è verso ! La signora ha preso la borsa e se nn’ a sciuta ! Ecco !”
Contrariato dall'atteggiamento di Cosimina, mi sono avviato verso il luogo detto « Leuca Piccola ». Chiamata così perché nei secoli passati rappresentava per i pellegrini di tutta Europa, l’ultima sosta prima d’arrivare al celebre Santuario Mariano di Leuca. 
La parte più imponente del complesso era il colonnato monumentale davanti ad una chiesetta piuttosto piccola, anche se munita di un secondo piano.
Nella corte annessa alla chiesetta vi era l’accesso ai sotterranei, che erano stati scavati a mano nella morbida pietra leccese. Erano appunto quei sotterranei che permettevano ai viandanti e pellegrini di riposarsi al riparo dal caldo.
Né attorno al colonnato, né all'interno della corte vedevo Assunta. Le porte della chiesa erano chiuse. Non c’era nessuno. Alle mie spalle i Barbaranesi accerchiavano ormai il Santo ed il parroco puntando il naso in cielo nell'attesa dello scoppiettio dei fuochi d’artificio...
La bolla di silenzio attorno al complesso mi metteva un certo malessere, una specie di angoscia e un presentimento. Mi incamminai sulla stradina laterale in direzione delle Vore, le due voragini carsiche poco lontano.
Mi trovai a pensare che stavo di fatto percorrendo a rovescio la strada dei pellegrini, e prima di loro quella percorsa dai primi fondatori del paese : i pochi scampati all'attacco di Vereto.
Era ai turchi che Barbarano doveva il suo nome… a ricordare appunto sia la barbarie che li aveva costretti a fuggire da Vereto sia quel macello di corpi, uomini, donne e bambini colpiti dalle scimitarre e dai pugnali barbari (turchi).
I vecchi raccontano che i Barbaranesi, assieme ai paesi vicini, molti anni dopo quei fatti sanguinosi, ebbero l’occasione di vendicare i propri morti, vincendo altre battaglie contro turchi e corsari algerini. I corpi degli uccisi erano stati buttati poi nelle voragini attorno al paese.
Più ricordavo questi avvenimenti tramandati dai vecchi col loro linguaggio crudo e senza eufemismi, più sentivo l’ansia e l’angoscia percorrermi la schiena.Mi resi conto che stavo praticamente correndo verso le Vore, come chiamato, come se una voce m’intimasse d’andare li !
Un urlo lancinante, seguito dal volo improvviso di uno stormo disordinato di uccellini impauriti, mi gelò il sangue! Raggiunsi immediatamente il muro di cinta, ma lo dovevo raggirare, era impossibile de scavalcare e troppo alto per vedere cosa succedeva al di là!!! Ed in quegli attimi lunghissimi riconoscevo la voce di Assunta che stava urlando e probabilmente lottando contro qualcuno.
Trovai finalmente la stretta entrata. All'interno del muro di cinta la vegetazione nasceva, spontanea, fitta e rigogliosa. Il contrasto tra la luce abbagliante all'esterno ed il buio inquietante dell'interno, mi impediva di distinguere le forme.
Scesi qualche metro e li vidi: Assunta ed un uomo. Erano ad una decina di metri al di sotto, avevano percorso il sentiero interno al
lato della voragine. Le ripidi pareti della Vora formavano una specie di imbuto. In molti punti la roccia era friabile. Si trovavano entrambi su un passaggio scosceso e pericoloso. Da quell'altezza una scivolata sarebbe stata fatale.
L’uomo e la donna s’aggrappavano e lottavano l’uno contro l’altra, violentemente. Urlai per far notare la mia presenza avvicinandomi a tentoni... Le loro voci concitate quasi coprivano il gorgoglio d’acqua, rumore sordo e profondo proveniente da dentro la grotta.
La situazione si faceva rischiosa e non sapevo come fermarli. Se mi fossi avvicinato ancora non ci sarebbe stato posto per tre sul loro ultimo pianerottolo roccioso. Improvvisamente l’uomo assestò una bella sventola ad Assunta, ma poi la tenne saldamente a sé per non farla cadere.
Mi bloccai sorpreso, allora lui mi fece cenno d’avvicinarmi e la riportammo a forza di braccia in superficie, lui prendendola per i piedi ed io per le spalle.
Chi era quell'uomo ? Che cazzo stava succedendo ? Alla luce del sole lo riconobbi, ma feci finta di niente: era Alberto Ludovisi! Rispetto alla foto ricevuta da Assunta, aveva la barba un po più lunga, non era in giacca e cravatta, e non portava gli occhiali.
« Che é successo ? » chiesi
« E che ne so ? Ho visto la signora fare il giro del colonnato di Leuca Piccola più volte, era stranita, ma sembrava cercasse qualcosa in terra, dietro i pilastri, poi si é avviata in questa direzione. Siccome era sola... e lo sanno tutti che é appena uscita dall'ospedale... e non mi sembrava nel suo stato normale ho pensato di seguirla »
Il Ludovisi parlava in modo pacato, in un italiano perfetto e guardava quasi con tenerezza Assunta della quale sosteneva la nuca, mentre io le tenevo le ginocchia alte affinché riprendesse conoscenza.
« E poi ? »
« E poi... poi l’ho vista scendere nella Vora e ho creduto che si volesse buttare dentro… con tutto quello che é successo questi ultimi giorni… » 
« Quindi l’hai salvata »
« E’ certo ! Non lo vedi che è viva ? » Lo sguardo del Ludovisi era fulminante di sincerità!
Assunta stava riprendendo i sensi, il Ludovisi l’aiutò a sedersi con cautela.
« Assunta come si sente, che é successo? » le chiesi. 
Era titubante, cercando di mettere assieme pensieri e parole.
Poi, repentinamente nel suo sguardo cambiò qualcosa e percepì che stava riprendendo il controllo di sé
«Sto bene, non ti preoccupare.... ( Vide che c’era Ludovisi) Non ho niente... volevo solo fare una passeggiata e m'è presa voglia di scendere all'ombra. Il sole era troppo forte, poi ho visto lui, che manco lo vedevo bene là dentro e m'è presa paura ».
Mentiva spudoratamente ma, orgogliosa qual’era, il contraddirla l’avrebbe solo irrigidita nella sua menzogna.
« Ma come si sente ? Sta bene ? Può camminare ? ». Il Ludovisi, dal canto suo, non apriva bocca, lasciandomi gestire la situazione.
« Si si, non ti preoccupare… fammi alzare». « L’accompagniamo però ? » « Si va bene, ma non ti fare vedere che mi accompagni, che poi i Barbaranesi parlano, lo sai come sono… ».
« Va bene, l’accompagniamo fino alla piazza e poi quando c'è gente procede da sola ».
L’aiutammo ad alzarsi e ci incamminammo. All'altezza della chiesetta di Leuca piccola, mi fece cenno con lo sguardo di lasciarle il braccio. Rialzò il mento e in un attimo fu come se rivestisse il suo proprio personaggio. S’avvio decisa ed altera attraversando la piazza, colma di gente , verso Palazzo Serafini.
Mi rigirai, il Ludovisi s’era dileguato….
Sapevo che non era molto lontano e sentivo che m’osservava. Ora era facile capire dove si nascondesse; la chiesetta di Leuca Piccola aveva un piano superiore che da bambini usavamo come una sala giochi. Il nascondiglio perfetto. 
Feci un cenno d’intesa verso la chiesetta, essendo certo che Alberto Ludovisi mi stesse guardando…
A questo punto, avevo proprio voglia di fare una piccola visita ad un altra persona:
Giusy Ventura! ( Futura nuora di Assunta Degiorgi, e sospettata amante di Alberto Ludovisi). Non la conoscevo, ma la nomea della sua bellezza era giunta da tempo anche alle mie orecchie.
Era di genitori salentini emigrati a Milano. Un’ estate, aveva deciso di non tornare con i suoi in Lombardia: aveva conosciuto Annibale Degiorgi... ed era rimasta a vivere a casa di una vecchia zia a Torre Vado.
“Magicamente” la Degiorgi & Co. aveva aperto la sua prima boutique di calzature uomo-donna proprio su quel Lungomare e Annibale aveva convinto il Dottor Perdicchia e la madre ad assumere Giusy come commessa.
Giusy aveva ricevuto in dono la bellezza tipica del salento. Una pelle dorata, i capelli corvini e gli occhi straordinariamente verdi. Se la descrizione può sembrare ovvia o banale, per rendersi conto dell effetto che faceva, bastava osservare un uomo qualsiasi allorché s’imbatteva nella sua silhouette: lo sguardo vuoto diventava ammiccante, la mano saliva rapidamente a mettersi a posto i capelli o ad asciugare le perle di sudore dalla fronte, la pancia rientrava immediatamente aspirata all'interno dei pantaloni, i bottoni della camicia riprendevano posto nei rispettivi occhielli. 
Il fascino della Giusy però restava intatto finché...  non apriva la bocca!
Aveva un fisico sensuale di una prorompente bellezza che per associazione di pensiero, portava alle stupende attrici italiane degli anni ‘50 e ci si sarebbe aspettati ad un dialetto napoletano, alla gestuale viva ed esplicita di una Lollobrigida o di una Loren.
Invece Giusy Ventura aveva uno spiccato accento milanese che, con tutto il rispetto per i milanesi, ci stava come un capello nella minestra. E se poi parlava in dialetto salentino, era anche peggio… lo usava contraendo le parole e colorendolo di fioriture dialettali antiche e desuete, aggiungendo ad ogni fine di frase la parola «cazzo » come fosse un punto esclamativo.
Nel suo negozio di calzature vi era solo una coppia di turisti tedeschi desiderosi di acquistare un paio di scarpe in vera pelle, cucite a mano, vero made in Italy, vero design italiano. Pensai, orgoglioso della mia terra, che si trovavano proprio nel posto giusto!
Le scarpe erano davvero di buona qualità e curate nei dettagli. Osservando le Derby rivedevo il gesto forte, che per qualche anno era stato anche quello di mia madre, d’obbligo nel cucire le fodere di cuoio col filo cerato. Lavoro duro, pagato appena 40 centesimi d’Euro a scarpa, allorché pochi del posto potevano permettersi il gran lusso d’acquistarne un paio.
Poco dopo sentii il profumo di Giusy Ventura accanto a me, e la sua leggendaria bellezza diventò quasi tangibile...
Portava la giacchetta nera di prassi per il personale del negozio, abbottonata in vita, ma la scollatura della camicetta che doveva portare di sotto era così profonda da chiedersi se camicetta ci fosse. Le poppe tonde, vistose attiravano oscenamente lo sguardo.
Decisi di non girarci intorno con lei. Mi sarebbe stato più facile gestire il turbamento che esercitava su di me andando su domande dirette. Ovviamente non potevo dirle di essere stato assunto dalla futura suocera per sorvegliare i suoi spostamenti, ma potevo magari dirle che lavoravo sul caso Perdicchia... forse l’avrebbe bevuta!
Ci sedemmo sui pouf di crine beige per la prova delle scarpe, mi presentai come Antonio Quaranta, dicendole che ero ispettore e che indagavo sul caso Perdicchia per conto della polizia.
Le chiesi di punto in bianco se avesse avuto notizie di Alberto Ludovisi. 
Ci fu un attimo di silenzio, a senti irrigidirsi... poi lei piantò il suo sguardo nel mio. “Che c’entro io con lui? ”  Ritorse invece di rispondere. " E che c’entra lui con l’omicidio di Dalì? Cazzo!” Continuò!
“Quindi ammette che vi conoscete! Bene! Lei lo sa dove sta Alberto Ludovisi in questo momento?”
“Perché è ricercato?” chiese con più dolcezza e con aria innocente.
Le spiegai che ci serviva l’aiuto del Ludovisi per alcuni accertamenti, che non era un segreto che lei ed il giovane Alberto fossero amici e che ci serviva la sua testimonianza.
Mi rispose, con molta accondiscendenza, che se avesse avuto notizie avrebbe chiamato sul numero della mia carta da visita.
Per rendere più credibile il fatto che stessi indagando sull'omicidio e non sulla sua relazione col Ludovisi le chiesi di dirmi tutto ciò che sapeva del Dottor Perdicchia.
Mi raccontò d’averlo conosciuto durante l’intervista di candidatura per il posto di commessa, che c’era anche Assunta che già in quella prima occasione le aveva mostrato un gelido distacco.
Disse anche che aveva un rapporto molto tranquillo e professionale con il Perdicchia. Che l’aveva sempre pagata correttamente in fin di mese, le era addirittura simpatico, infatti, una volta le era scappato di chiamarlo, come tutti, “Dalì” allorché i loro rapporti erano piuttosto formali e che lui s’era messo a ridere vedendo l’imbarazzo di lei.
“Invece la signora....” Giusy esitò...
“ Sì, continui pure” insistei “se vuole dirmi qualcosa, sa a volte le informazioni che sembrano inutili, possono dare indizi preziosi... mi dica” - “Beh ecco, non so se lo sa, ma Assunta sta per diventare mia suocera. Con Annibale, suo figlio, ci sposiamo fra due mesi, non vorrei che pensasse male, ma... Ecco: ogni volta che andavo a riscuotere il salario a Palazzo Serafini, dal dottore, la signora entrava nel suo ufficio. Mi creda: una vera persecuzione! Verificava quanto ricevevo. Beh! Io ricevevo il giusto! Ricevevo quanto c’era scritto, né più né meno! ¨
I primi tempi avevo creduto che difendessi i miei interessi, le spiego: "Lo so che tante volte in altre ditte nella busta paga c’é una cifra, ma poi te ne danno la metà. Però sinceramente con me il Dottor Perdicchia era sempre stato giusto”
L’altra sera poi, quando é caduta dalle scale.... Ecco, ero andata a Barbarano, a Palazzo Serafini a prendere la busta-paga di luglio, appena uscita dall'ufficio me la sono trovata sul pianerottolo. Sinceramente, ero già stanca della giornata di lavoro e pure scocciata... Ha cominciato a farmi domande del tipo “perché ci avevo messo tanto tempo nell'ufficio, poi a dirmi che la gonna che portavo era troppo corta, che ero scollata, che ero indecente, mi stavo per sposare ecc ecc.”
Allora le ho risposto -però era solo ironia, intendiamoci- che se mi vestivo così era tutto nell'interesse suo in quanto facevo entrare più clienti nel negozio, che si chiama Marketing e per quanto riguarda Dalì: quel che facevamo in ufficio erano fatti nostri e non suoi”
“ E perché le ha detto questo? C’è stato qualcosa fra lei e Perdicchia?”
“Io NOOOOOO! Per carità! Mi creda: m’è venuto così ! Mia suocera mi aveva proprio scocciato. Ancora non sono sposata... e già comincia... e che cazzo! Sa: Dalì era una brava persona, era di spirito aperto, non come tanti di qua; aveva viaggiato, era stato anche due anni a Milano... se non fosse stato l’amministratore delegato della ditta, chissà? Forse, malgrado l’età saremmo stati anche amici”
Giusy aveva uno sguardo intristito, la maschera della donna arrogante che mi descriveva prima parlando di se stessa, si stava sciogliendo al ricordo di Pietro Perdicchia.
“Questo è quanto successe la sera che Assunta Degiorgi è caduta dalle scale?” Le chiesi, riprendendo il filo.
“Si! Però quando l’ho lasciata io, le giuro che stava benone, in piedi sul pianerottolo, incavolata come al suo solito, ma stava BENONE.... Ah, ecco, mi ricordo... Alberto Ludovisi l’ho visto per l’ultima volta proprio quella sera, lui entrava nel Palazzo mentre io scendevo le scale per andar via”.
A quel punto, avevo avuto più informazioni di quante sperassi, la salutai e me ne andai a passeggiare sul lungomare... avevo ancora un po’ da aspettare fino alla chiusura del negozio.... Chissà cosa fa la bellissima Giusy Ventura la sera quando il fidanzato sta a Las Vegas?
Ci avrei dovuto scommettere: la 500 di Giusy quella sera si diresse a Barbarano. Con un’amica si mostrò per un po’ alla festa in piazza.... Io intanto mi ero parcheggiato vicino al complesso di Leuca Piccola, ed aspettavo a fari spenti... il mio istinto mi diceva che l’attesa sarebbe stata breve.
Era buio pesto, la vidi arrivare grazie al tremolio della luce del telefonino che usava come torcia. Doveva essere scalza ed il camminare in punta di piedi le dava un che di felino.
Osservando meglio nella direzione che prendeva, vidi la sagoma del Ludovisi. La stava aspettando immobile appoggiato al cosiddetto “pozzo”. Si abbracciarono senza parlare, in una stretta che pareva di sollievo per entrambi. Poi il Ludovisi spostò la grata dall'imboccatura del “pozzo”, vi si calò per primo e l’aiutò a scendere.
Quel “pozzo” era un passaggio scavato nella volta di una delle grotte dormitorio di Leuca Piccola. Nei secoli scorsi, era servito da entrata e da pozzo-luce ai pellegrini ospiti della grotta. Il vero pozzo, che offriva un acqua straordinariamente fresca e pura, era sotterraneo, scavato nel mezzo del dormitorio in linea dritta sotto alla “buca” fatta nella volta della grotta. 
Li lasciai entrare, quando non vidi più le luci dei loro cellulari, mi avvicinai, calai nel pozzo un piccolo microfono ed appoggiandomi al pozzo, mi misi ad ascoltare con le cuffie. Il mio lavoro per conto di Assunta Degiorgi stava cominciando.
Fecero l’amore quasi in silenzio, registravo per riempire la mia missione, senza nessun piacere per questa mia intrusione nella loro intimità. Quei ragazzi nonostante tutto, mi stavano simpatici.
Dopo l’amore, lui le raccontò di come aveva passato le ultime ore, anche dei fatti del pomeriggio con Assunta alle vore. Ascoltai quella parte con molta attenzione : trovare una seppur piccola divergenza coi fatti che aveva raccontato a me qualche ora prima poteva, chissà, essermi utile! 
Ma Alberto confidava a Giusy per filo e per segno le stesse cose dette a me...: aveva visto Assunta gironzolare con una gran borsa attorno al complesso che serviva a lui da nascondiglio, sembrava strana, era da sola e... preoccupato per lei l’aveva seguita alla vora e le aveva salvato la vita, infatti Alberto pensava fermamente che Assunta volesse buttarsi di sotto. Le raccontò anche della mia presenza, mi descrisse non sapendo chi fossi... “aveva un completo grigio? E aveva una cicatrice sul sopracciglio destro?” chiese Giusy. “ Si esatto, lo conosci?” chiese lui. “È quello che ti cercava questo pomeriggio al negozio, quindi se già ti aveva trovato, perché farmi tutte quelle domande? Non capisco” rispose Giusy.
Ci fu un momento di silenzio che decisi di rompere, avvolsi il cavo del microfono , lo misi in tasca e li chiamai...
“Ragazzi?! Uscite dai, con calma per favore..”
Non lo vidi nemmeno arrivare, il Ludovisi saltò fuori come una belva dalla ciminiera del pozzo al quale ero ancora appoggiato. Mi acchiappò, mi prese violentemente per il collo buttandomi fra le stoppie aride.
“Che cazzo vuoi da noi?” Disse quasi ringhiando come un cane sulla sua preda. 
“Lasciami, mi fai male, voglio solo parlarvi” mi stava soffocando.
“Alberto... lascialo stare” lo pregò Giusy, rimasta nella grotta.
Finirono di rivestirsi nella mia auto. Il Ludovisi era nervoso quanto Giusy sembrava sollevata. Fu lei ad esortare il Ludovisi a parlarmi. -Pensai che come me, quella ragazza, doveva avere un sesto senso sulle persone. Sembrava ora fidarsi di me, pur non conoscendomi-.
Alberto mi disse che si stava nascondendo perché già condannato dalla vox populi. Era innocente. Dalì, il suo capo, era anche un amico e voleva trovare il vero colpevole.
Confermò che aveva assistito alla litigata tra Assunta e Giusy, aveva sentito Giusy rispondere ad Assunta che la sua relazione con Dalì erano fatti personali e, malgrado la fiducia che portava a Giusy, già da quella frase aveva sentito il morso della gelosia.
Assunta, avendo viso lo sguardo inquisitore che Alberto aveva lanciato a Giusy mentre lei scendeva le scale e ne aveva approfittato per dire e ripetere, che Giusy era una zoccola. 
Alberto ingelosito si era allora voltato per raggiungere Giusy sul parcheggio in piazza e chiederle spiegazioni, quando alle sue spalle aveva sentito un tonfo e girandosi di scatto aveva visto Assunta cadere dalle scale e sbattere la testa sull'inferriata.
Raccontò che Dalì era uscito precipitosamente dall'ufficio e che entrambi avevano soccorso e portato in ospedale la signora, prendendo rischi enormi vista la contusione alla testa.
“Perché accusano tutti te per l’omicidio del Dottor Perdicchia?”
“Forse dovresti chiedermi perché ero andato a Palazzo Serafini quella sera? “ e continuò: “Dalì mi aveva chiesto di passare, voleva parlarmi in privato. Doveva darmi una risposta... Alcuni giorni prima, aveva scoperto alcuni errori che avevo fatto ripetutamente sulla contabilità dei mesi precedenti. Ci avevamo perso un po’ di soldi . Dalì non controllava mai il mio lavoro, me lo aveva insegnato lui e si fidava. Secondo me ci stà che fosse stata Assunta a chiedergli di controllare ... Ultimamente la signora è parecchio paranoica ...”
“ Di cosa ti sospettava?” “Mbé, a meno che sapesse della mia relazione con Giusy, il suo atteggiamento non me lo spiego, Comunque oramai, poco importa. Se si trova chi ha ucciso Dalì, me ne vado da questo paese di m.... “
Giusy lo guardava con preoccupata dolcezza, il capo appoggiato alla spalla di lui, gli stringeva forte la mano.
“Dalì era stato franco con me...  rischiavo il licenziamento. Quella sera ero andato da lui per farmi comunicare la sua decisione” “ E cioè? Quale?” “ Non lo so! Quella sera non ne abbiamo parlato. Lo stato di Assunta era serio e non ci abbiamo più pensato. Due giorni dopo Dalì è stato ucciso e hanno trovato la lettera di licenziamento, almeno così si dice... E quindi il licenziamento sarebbe il mio movente?figuriamoci! Io che ammazzo Dalì per il posto di lavoro”.
Il racconto di Alberto Ludovisi mi soddisfaceva. Gli confidai che la lettera di licenziamento trovata, non era mai stata firmata dal suo amico Dalì.
Promisi ad Alberto che non avrei svelato il suo nascondiglio, ma che forse sarei tornato. Pochi minuti dopo li lasciai andare. Giusy mi abbracciò come una bambina perdonata dopo essere stata scoperta a mangiare la nutella di nascosto. Mi fece tenerezza.
Loro tornarono nella grotta ed io a casa. Nella mia mente c’era tanta roba da “smatassare”. Ormai era notte fonda e la a notte porta consiglio
Le albe di Capilungo hanno un qualcosa di magico. Avevo portato la moka piena di caffè e la tazzina sul terrazzo. Non c'è niente di meglio per augurarsi una bella giornata.
Attirato dai riflessi di luce argentea scesi sugli scogli dinnanzi al mare con la mia tazzina tra le mani. L’acqua trasparente, purificata dalla notte, offriva ai miei occhi ogni dettaglio, il polipetto che si nascondeva, quel gruppetto di ricci e gli scogli coperti di cozze mateddhe. Avessi avuto un po di tempo le avrei staccate da lì una ad una. Buonissime a colazione!  Ma dovevo andare a Barbarano a consegnare ad Assunta la prova della relazione fra Alberto Ludovisi e la futura nuora, Giusy Ventura. Certo li trovavo simpatici, ma anche più simpatico mi stava quel salario così facilmente guadagnato. Il lavoro é lavoro! E poi chissà! A volte i segreti svelati sono la miglior cosa che possa capitare.
Prima d’addormentarmi avevo fedelmente trascritto ogni parola della conversazione avvenuta nella grotta tra Alberto e Giusy e ne avevo fatto una copia per me.
Una cosa mi era tornata in mente grazie a quella trascrizione: la borsa che Assunta aveva con sé andando alla Vora ( Cosimina ne aveva parlato, ed anche Alberto). Beh! io quella borsa non ricordavo d’averla vista.
Gli stralci della festa della notte precedente erano ancora appiccicati alle panchine della piazza, ma Barbarano era già tornato alla sua calma mortale. Sotto un sole di piombo le scope dei netturbini percorrevano veloci il lastricato. Una donna minuta, vestita di nero andava al negozio della Loreta appoggiandosi ad una vecchia bici scura.
Avevo più di 40 anni e a Barbarano ci ero nato e cresciuto... eppure non ne avevo mai percepito il minimo cambiamento... quel paese era stato dimenticato dal tempo, immobile e vecchio da sempre.
Suonai, chiesi alla Cosimina se la signora era in casa e se poteva ricevermi. Mi fece cenno di si e mi disse d’accomodarmi. Mi parse ancora offesa per il rimprovero che le avevo fatto il giorno prima quando aveva lasciato Assunta allontanarsi da sola.
Assunta arrivò raggiante, per una ragione sconosciuta sembrava felice. Portava un vestito di cotone azzurro, con una scollatura leggera e legato in vita da una cintura dello stesso colore. I capelli castano scuro erano raccolti sulla nuca. Non aveva più nessun segno dell ematoma dovuto alla caduta dalle scale.
Le feci i miei complimenti per il suo aspetto, lei mi chiese il motivo della mia visita. Le risposi che ero tornato con le notizie che aspettava rispetto alla missione che mi aveva affidato.
Ero ansioso di consegnarle il nastro che confermava la relazione amorosa tra Alberto e Giusy, ma Assunta, non sembrava capire di cosa le stessi parlando. Provai a rinfrescarle la memoria, ricordandole le circostanze della sua domanda, ma mi resi conto che per essere chiaro avrei dovuto dirle che ci eravamo incontrati il giorno della morte di Dalì...
Non so per quale motivo, ma esitai... Intanto Cosimina arrivò col caffè e col quotidiano. Assunta prese la tazzina fra le mani, si rigirò verso Cosimina e le chiese “Mimina, per favore, va’ a chiamare Dalì, digli che il caffè è pronto”.
Al sentire la richiesta della signora, Cosimina sgranò gli occhi e mi guardò esterrefatta, in piedi, immobile senza sapere cosa fare o dire. 
Intanto Assunta guardava il lento sciogliersi della zolletta di zucchero nel caffè.
La scena era come sospesa, tra la sorpresa e l’angoscia di Cosimina e la calma di Assunta subitamente assorta nei propri pensieri. Le chiesi di scusarmi e mi appartai con Cosimina in cucina. Assunta, concentrata sulla zolletta, non faceva più caso a me.
Cosimina si mise a parlare freneticamente... mezzo in dialetto, mezzo in italiano, non capiva che cosa succedeva alla Signora. Era stata strana nei giorni passati, eppure sembrava stare così bene questa mattina. E aggiunse che la faceva impazzire: un po tranquilla, un po insopportabile, che era stata gentile, ma che non c’aveva più l'età di sopportare tutto questo, che la Signora andava accompagnata, che stava diventando pazza ecc ecc. Che mò diceva che il Dottore era vivo? Ma se era morto ammazzato ???!!!
Le chiesi di calmarsi, Assunta era sicuramente ancora sotto choc !
Le diedi il numero del Dottor Pellegrini affinché gli spiegasse la situazione e lo facesse venire al più presto a Palazzo Serafini e così Cosimina fece.
Intanto tornai a sedermi di fronte ad Assunta ancora assorta nei suoi pensieri.
Volevo dirle una cosa qualsiasi per riprendere contatto con lei, ma mancavo d’ispirazione. Allora guardandomi intorno vidi il quotidiano sul tavolino accanto alla Signora.... Scopri i titoli leggendoli al rovescio: “Omicidio Perdicchia irrisolto, accordo del prefetto per i funerali”.
Porca Miseria! Avrei voluto sottrarre quel giornale affinché non ne leggesse il titolo,ma non potevo essere sicuro della reazione di Assunta, allora le chiesi se volesse venire con me nel giardino che stava sul retro. Così almeno la allontanavo dai titoli del quotidiano.
Mi seguì con un aria un po sognante: non era la Assunta che tutti conoscevano, non era la dama di ferro, la Padrona della casa, la “Signora”. Camminando mi prese sottobraccio e appoggiò la testa sulla mia spalla.La lasciai fare, non era nel suo stato normale e forse era meglio assecondarla.
Ci sedemmo sulla panchina di pietra all'ombra del glicine, nel giardino sul retro: un quadrato di terra nell'atrio interno del palazzo con un due profumatissimi alberi di limone ed una palma nana. 
Un gatto le saltò sul grembo e lei prese ad accarezzarlo.
“Dalì, ti volevo parlare di una cosa”... ( ora mi prendeva per il dottor Perdicchia) cominciò a dire con molta calma trattenendo la mia mano nella sua e continuando a guardare il gatto che faceva le fusa sulla gonna: “Non vorrei rubare gli onori ad Annibale e Giusy... magari aspettiamo dopo il matrimonio per dirlo a tutti. Sei d’accordo?”
????? Quel che avevo sentito mi lasciava di stucco, avevo appena scoperto di chi Dalì era innamorato: Assunta, chi l’avrebbe detto!!!
Mi ripeté “Sei d’accordo?” le risposi con quanta più convinzione possibile :”Si va bene Assunta”. Socchiuse gli occhi e s’appoggiò a me. Non so quanto tempo restammo lì, vedevo di tanto in tanto Cosimina che da dentro spiava preoccupata. Poi finalmente il Dottore Pellegrini arrivò.
Assunta al suono del campanello si mise in piedi, fece scendere il gatto e si rassettò veloce la gonna “Dottore, come sta? Cosimina é rimasto un po di caffè per il dottore? “
Incredibile, come la sera prima alle Vore, da gran trasformista, Assunta Degiorgi, “la Signora” era tornata in scena!
Da perfetta padrona di casa fece le presentazioni “Dottore lei conosce Antonio? Antonio Quaranta? E’ venuto a trovarmi. Dopo la morte di Dalì buonanima, si preoccupano tutti per me. ” - ( Ora si ricordava che Dalì era morto? ) - “Mi fa piacere che sia passato venga... venga...”
Il Dottore sembrava spiazzato quanto me, ed ancora di più lo era Cosimina, che si era rifugiata in cucina per preparare un ennesimo caffè fra mugolii e critiche dette fra sé e sé.
Appena poté il dottore passò a Cosimina una bustina, probabilmente un calmante che lei sciolse in un bicchiere d’acqua per la signora.
Poco dopo, Pellegrini ed io avevamo riaccompagnato Assunta a riposare in camera.
Pellegrini si raccomandò a Cosimina di lasciarla tranquilla.
Uscimmo da Palazzo Serafini, volevo sapere cosa il dottore ne pensava, avevo anch'io bisogno di capire quel che fosse successo. Dovevo assolutamente confidargli del cambio di personalità che avevo osservato e anche parlargli del fatto che m’avesse preso per Perdicchia.
Anche il medico voleva condividere delle informazioni con me. Buttò sul sedile posteriore la sua valigetta, s’appoggiò alla portiera dell’auto e mi disse che per i sintomi che Cosimina le aveva descritto al telefono, c’erano un paio di possibilità, la prima era lo stato di choc emotivo per la morte di Perdicchia,la seconda ovviamente, era la commozione cerebrale a seguito della caduta dalle scale, ma c'era anche una terza possibilità... più grave. Il dottore per accertarsene, aveva preso la libertà di chiamare il medico dell’ospedale di Gagliano, dove era stata ricoverata per ben due volte in pochi giorni dicendo che era lui il medico curante della Signora
Il caporeparto dell’ospedale aveva confermato le paure del dottore: dalle lastre fatte in ospedale, si era scoperto, in prossimità del lobo temporale medio, leso a causa della caduta dalle scale, una massa importante che schiacciava sia l’ippocampo che l’amigdala. Mi spiegò che i sintomi della signora: deficit mnemonico e comportamento aleatorio erano direttamente legati a quanto scoperto.
Traduzione : quella massa nel cranio le causava una memoria ad intermittenza, un comportamento bizzarro con accessi di violenza fisica e verbale
Mi ritornò in mente la scena alla vora: Assunta lottando violentemente con Alberto, il fatto che non ricordasse d’avermi assunto per spiarli, né che che Perdicchia fosse stato assassinato proprio in casa sua. Il dottore aveva sicuramente visto giusto!
A questo punto raccontai al dottore assolutamente tutto... in ogni dettaglio.
Mi ascoltava con calma, chiedendomi di tanto in tanto di precisare qui e là alcuni fatti. Alla fine del racconto mi chiese... “ E la borsa? E’stata ritrovata?” Ammisi di no. Incredibile, io ci avevo messo due giorni a rendermi conto di quale pezzo del puzzle mancasse, il dottore, lui ci aveva pensato subito.
Mi propose lui di tornare alla vora per cercarla.
Ci fummo in pochi minuti. Tutto era molto più sereno, quasi bucolico, rispetto al giorno prima. Mostrai al dottore dove si trovavano Assunta e Alberto quando li avevo visti e dove stavo io.
Il dottore mi disse di non muovermi, scese il sentiero laterale della voragine, lo vidi un attimo sul pianerottolo roccioso dove Alberto aveva messo K.O. Assunta... e poi non lo vidi più. Continuava a parlarmi, ma l’effetto sonoro dato dalla forma della voragine, non mi permetteva di capire dove si trovasse. Scrutavo il fogliame buio senza vederlo.
Di colpo lo senti gridare “ ho trovato la borsa . La porto su!”
Doveva essere pesantissima, il dottore faticava parecchio . Da vero professionista aveva indossato i suoi guanti da medico in modo da non lasciare le sue impronte sulle anse.
La borsa era stata lanciata al centro della voragine, il Dottore l’aveva trovata facilmente su una collinetta di detriti che negli anni si era innalzata abbastanza alta da separare il corso d’acqua sotterraneo in due rami.
Aprimmo la borsa alla luce del sole. Sarebbe stato compito della polizia, ammetto che il nostro comportamento non fu molto etico. Ma ormai il dottore ed io volevamo sapere...
La borsa conteneva vestiti da donna macchiati di sangue, un asciugamano, anch'esso insanguinato, un pezzo di lastra di pietra incisa, della acetone infiammabile ed un accendino.
Di sicuro l’analisi del sangue sui vestiti e sulla lastra avrebbero evidenziato che si trattava di quello di Pietro Perdicchia. E io stesso avevo riconosciuto il vestito, apparteneva a Assunta. L’acetone e l’accendino... magari erano o sarebbero serviti per bruciare tutto.
“Quanta ingiustizia” sospirò amaro il Dottore. “Togliere la vita all'uomo che la voleva con sé per sempre. Ma perché?”
“Per gelosia” gli risposi, “... per gelosia ! Lo sa meglio di me di quanto Dalì avesse la mania di scherzare su tutto. Ma non si scherza con la gelosia di una donna.
La mia teoria é che Assunta fosse gelosa di Giusy. Credo che le avesse creduto quando Giusy, per dispetto, aveva insinuato, senza riflettere sulle conseguenze delle proprie parole, una sua relazione con Perdicchia.
Quella sera la signora cadde dalle scale e venne portata all'ospedale, dopo alcuni giorni tornò a Palazzo Serafini, ma ancora sotto choc e l’ossessione del pensiero di Perdicchia con la giovane Giusy.
Il corpo di Perdicchia venne ritrovato esattamente il giorno dopo il ritorno della signora a Palazzo Serafini. Pochi hanno fatto caso al baffo tagliato. Solo una donna gelosa, conoscendo il valore simbolico del baffo, glielo avrebbe tagliato, quasi a dire: “Dalì tu sei mio!”
Peraltro i sintomi di Assunta Degiorgi spiegano la folle collera assassina necessaria a lanciare a mani nude una fiocina su un uomo.
Il dottore convenne che tutto ciò era possibile: crimine passionale... “Che ironia, che assurdità” si mise a ripetere il Dottore guardando attentamente la lastra scolpita che era nella borsa
“ Cioè Dottore? A cosa sta pensando?”
“Come lei ha appena detto, Giusy aveva insinuato delle cose, senza pensare alle conseguenze istigatrici delle sue parole”. Io annuii. “Ora guardi questi pezzi di lastra” continuò il dottore, ”l’altra metà ce l’ho io. L’avevamo trovata Dalì ed io in una masseria diroccata di Serra Falitte. Di sicuro qualcuno l’aveva staccata e rubata da una delle architravi di Leuca Piccola dove stava da secoli. Dalì ed io ne avevamo tenuto ciascuno un pezzo e avevamo taciuto a tutti il ritrovamento. Lui aveva esposto il suo pezzo in ufficio e aveva detto a tutti che era una riproduzione. Se unisce le due parti, potrà leggere “10 P”, sa cos'è? “ mi chiese, “No” risposi – “Significa
Parole Poco Pensate Portano Pena Prima Pensare Poi Poco Parlare”
"Comprende ora l’ironia?”
Ci guardammo tristemente, il puzzle era completo, eppure il gioco non aveva divertito nessuno.
A quel punto, non sapevamo cosa fare con le prove trovate.
Pensavo al mio dovere di rendere giustizia, a Ponzetta che aspettava le conclusioni delle mie indagini, a Perdicchia, barbaramente ucciso dalla donna che aveva scelto di amare, ma anche ad Assunta che aveva probabilmente rimosso dalla mente l’avere ucciso l’uomo che amava o che forse aveva dimenticato di essere stata amata.
Il Dottore rimise tutto nella borsa, e sempre coi guanti ne richiuse i cinturini e ridiscese nella voragine.
Tornò poco dopo senza la borsa, in silenzio mi tese la mano destra, gliela strinsi e ci allontanammo ognuno per la nostra strada.
Ci furono i funerali di Pietro Perdicchia. Tutta Barbarano era presente, ma anche una gran folla di curiosi da “fuori”.
La bara fu portata a spalla dal Dottor Pellegrini, da uno sconosciuto, da Annibale appena tornato da Las Vegas e da Alberto Ludovisi uscito allo scoperto per accompagnare nel suo ultimo viaggio una persona che stimava immensamente.
Dietro alla bara, in prima fila c’erano Cosimina e Giusy. Assunta Degiorgi era stata nuovamente ricoverata in ospedale.
Confidai al dottore che dopo la cerimonia sarei andato alle Vore per recuperare la borsa e portarla al commissariato. Essa avrebbe definitivamente scagionato Alberto Ludovisi e a questo ci tenevo.
Il dottore mi rispose che era inutile, la borsa lì non c’era più.
“L’ha distrutta?”, “No! L’ho solo messa da parte per un po. La borsa scagiona Alberto, ma accusa Assunta Degiorgi. Quella donna ne ha per poco, le sue condizioni sono gravi, lasciamola morire in pace. Dalì lo avrebbe fatto”
Assunta morì poche settimane dopo. 
Trovai la borsa sul mio terrazzo a Capilungo il giorno dopo il suo funerale.
                                
F I N E

Nessun commento:

Posta un commento

Post in evidenza

"Versi e prose in piena Libertà" il blog: IL RITORNO DI LILITH di Joumana Haddad

"Versi e prose in piena Libertà" il blog: IL RITORNO DI LILITH di Joumana Haddad :     IL RITORNO DI LILITH di Joumana Haddad...