giovedì 12 dicembre 2013

UN ALTRO GIRO DI GIOSTRA di Tiziano Terzani

da Versi e prose in piena Libertà per voi... per chi conosce il valore del tempo e gli da la giusta importanza: per chi si sofferma a guardare un tramonto o a seguire la danza di un fiocco di neve prima che si posi su un fiore per sciogliersi in un tenero abbraccio di amore; e per tutto questo non bastano gli occhi se non sono illuminati dalla luce dell'anima e, principalmente, devono essere capaci di cogliere la semplicità di un gesto che, a volte, riesce a comunicare più di mille parole.
(f.g)

da UN ALTRO GIRO DI GIOSTRA di Tiziano Terzani

Da ragazzo ho conosciuto uomini che avevano tempo. Erano i pastori dell’Orsigna nell’Appennino toscano, dove andavo in vacanza. Stavano per ore con un filo d’erba in bocca, distesi su un prato in cima a un monte a guardare da lontano il loro gregge e a riflettere, a sognare, a formulare dei versi che a volte scolpivano nelle pietre delle fonti o cantavano la domenica nelle gare di poesia attorno a una damigiana di vino. In India tutti hanno tempo e spesso hanno anche una qualche semplice riflessione da spartire con chi passa, come l’uomo che su una strada di campagna ha un misero baracchino per fare il tè. Te lo porge in una ciotola di terracotta e ti insegna a scaraventarla poi al suolo facendoti notare che torna a essere parte della terra... con cui si faranno nuove ciotole. Come succede anche con noi.
Gli antichi greci, incontrando gli indiani nei bazar dell’Asia Minore, rimasero colpiti da questa loro inclinazione a riflettere e dicevano: «Non sono mercanti. Sono filosofi». Perché il saggio in India oggi, come secoli fa, non è necessariamente un bramino a capo di un tempio o il pandit che conosce a memoria i Veda; può essere chiunque.
Alcuni dei più grandi saggi - o «santi», o rishi - degli ultimi centocinquant’anni sono stati personaggi di origini semplicissime e autodidatti. Nisargadatta Maharaj,7 morto solo recentemente, rispettatissimo, era un venditore di sigarette, uno di quelli che in un cubicolo di legno su un marciapiede arrotolano il tabacco in speciali foglie facendo quei sigarini che gli indiani chiamano bidi-bidi. Ramakrishna, il grande rishi dell’Ottocento di cui scrissero personaggi come Max Müller e Romain Rolland, era nato contadino, così come un secolo dopo Ramana Maharishi, l’uomo che considerava il silenzio uno dei più efficaci modi di comunicare. Con quel suo silenzio, Ramana cambiò la vita a migliaia e migliaia di persone. E la sua influenza continua ancora oggi.
Un altro grande «semplice» era Kabir, uno dei più amati poeti dell’India, anche lui un rishi, vissuto nel XVI secolo a Benares dove faceva il tessitore. Fra i suoi discepoli aveva ricchi e potenti personaggi del suo tempo. Alcuni gli offrirono di smettere di lavorare e di non andare più al mercato a vendere le sue stoffe, ma Kabir si rifiutò. «Tessere è il mio modo di pregare», diceva.
Quando Kabir morì, indù e musulmani si contesero il diritto di fargli un funerale secondo la propria tradizione. Ma lui aveva lasciato detto: «Copritemi con un velo e la decisione sarà lì». Così fecero. E quando alzarono il velo, il cadavere era scomparso. Al posto di Kabir c’era un cumulo di fiori e alle due comunità non rimase che dividersi quelli.

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